Tutela della privacy, quando il giornalista può pubblicare nomi e foto? Risponde l’esperto

Le ulteriori restrizioni legislative spiegate dall'esperto in materia di siti on line e uso dei social, l'avvocato Davide Bottoni

Molto spesso, interagendo sui social, incappiamo in articoli di cronaca giudiziaria che attirano la nostra curiosità ma poi, leggendo l’approfondimento, ci rendiamo conto che non ci sono dettagli e informazioni, anche anagrafiche, di chi ha commesso eventuali reati, anche di una certa caratura. Il lettore quindi trae le conclusioni e crede che a voler tutelare questo o quel criminale siano giornalisti e editori. La questione invece è molto più complessa e per questo abbiamo chiesto all’avvocato Davide Bottoni, specializzato proprio in privacy, di spiegare il motivo per cui gli organi di informazione e giornalisti non possono pubblicare foto e nomi degli arrestati.


“I recenti interventi normativi del Legislatore hanno suscitato scalpore soprattutto per gli effetti sugli organi di informazione e sulla categoria dei giornalisti. Tali novità sono state introdotte a seguito dell’adozione del Decreto Legislativo n. 188, dell’8 novembre 2021, a firma del Ministro della Giustizia Cartabia, emanato per il recepimento della Direttiva Europea n. 2016/343, che ha rafforzato il tema della presunzione di innocenza e del diritto a un equo processo di una persona indagata o imputata per un presunto reato. In realtà, le nuove regole non stabiliscono nulla di nuovo, se non ribadire quel principio cardine enunciato nell’articolo 27 comma 2 della Costituzione italiana: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”; principi peraltro sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

La Direttiva, quindi anche il Decreto, prevede che la presunzione di innocenza di una persona deve applicarsi in ogni fase del procedimento penale fino a che non diventi definitiva la decisione che stabilisce in maniera irrevocabile se l’indagato o l’imputato abbia commesso il fatto del reato ovvero fino a quando la colpevolezza non sia stata provata con le regole e i principi del processo penale. Tale principio dovrà essere rispettato nei luoghi del Tribunale e in pubblico dalle autorità competenti italiane (magistratura, corpi di polizia ecc..) che, nel fornire informazioni ai media o nel fare dichiarazioni pubblicamente, devono garantire che gli indagati o imputati non vengano presentati come colpevoli, evitando anche riproduzioni con manette, gabbie di vetro, ferri alle gambe o uniformi carcerarie.


Con l’adeguamento alla Direttiva europea, il Legislatore italiano ha previsto inoltre una modifica importante alla normativa riguardante i rapporti dell’Ufficio del Pubblico Ministero con gli organi di informazione, prevedendo che il Procuratore della Repubblica, ovvero un sostituto magistrato appositamente delegato, intrattiene tali rapporti esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa, a condizione che venga autorizzata con atto motivato per ragioni specifiche di pubblico interesse che la giustificano. Vi è una ulteriore novità importante prevista dal decreto di recepimento della Direttiva europea sui rapporti PM-organi di informazione.

Le informazioni sui procedimenti penali verranno diffuse solo quando ciò è strettamente necessario per la prosecuzione delle indagini o incorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico e per chiarire la fase in cui il procedimento pende, osservando sempre i principi sanciti dalla Direttiva europea di assicurare, in ogni caso, il diritto dell’indagato e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando non vi sia una sentenza o un decreto penale di condanna divenuti irrevocabili. Il Legislatore pone un freno anche alle informazioni rilasciate dagli ufficiali di polizia giudiziaria agli organi di informazione. È previsto, infatti, che il Procuratore della Repubblica, solo tramite un atto motivato, può autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria a fornire, tramite comunicati ufficiali oppure tramite conferenze stampa, informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato.

In ogni caso, nei comunicati ufficiali e nelle conferenze stampa, viene previsto anche un divieto di assegnare ai procedimenti pendenti appellativi lesivi della presunzione di innocenza e quindi di utilizzare nomi, come è successo in passato, per alcune operazioni di polizia come “Angeli e demoni”, per l’inchiesta di Bibbiano, o “Mafia capitale”, per l’indagine sulla criminalità romana. In caso di violazione dei principi detti poc’anzi, oltre alle sanzioni penali, disciplinari e all’obbligo del risarcimento del danno, l’interessato o, meglio, l’indagato o imputato, ha diritto di richiedere alla stessa autorità dichiarante la rettifica della dichiarazione resa che va ad intaccare il suo diritto alla presunzione di innocenza.

Se la richiesta è fondata, l’autorità deve procedere immediatamente alla rettifica e renderla pubblica. Se l’autorità non procede, o comunque non risponde alla richiesta, l’interessato può anche presentare ricorso in tribunale per chiedere che sia ordinata la rettifica o la pubblicazione. I principi e diritti appena detti devono chiaramente collimare anche con le norme che tutelano il trattamento dei dati personali dell’indagato o dell’imputato. Su questo tema il Garante della Privacy si è pronunciato con diversi provvedimenti che forniscono un valido strumento di indirizzo all’attività giornalistica. Il giornalista, infatti, quando intende pubblicare una notizia, può diffondere dati personali, anche senza il consenso dell’interessato, purché nei limiti posti al diritto di cronaca e nel rispetto del requisito dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.

La pubblicazione di immagini e foto all’interno di un articolo di giornale, sia cartaceo che online, di soggetti in stato di detenzione, senza il consenso dell’interessato, è consentita soltanto per rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia. Quindi, il giornalista deve valutare, dapprima, quando una notizia riveste effettivamente un rilevante interesse pubblico e, successivamente, quali particolari relativi a tale notizia sia essenziale diffondere al fine di svolgere la funzione informativa. Le foto segnaletiche o le immagini che documentano operazioni di arresto, anche se esposte nel corso di conferenze stampa tenute dalle forze dell’ordine o comunque acquisite lecitamente, non possono essere diffuse se non per le finalità per le quali sono state originariamente raccolte ovvero l’accertamento, la prevenzione e la repressione dei reati.

È chiaro, quindi, che nella diffusione di immagini si deve tenere la massima considerazione del diritto alla riservatezza e alla tutela della dignità personale dell’indagato o dell’imputato, delle regole deontologiche del giornalista, nonché dei principi fissati dalla recente direttiva europea e normativa nazionale. Quindi, la diffusione di foto segnaletiche non giustificata da necessità di giustizia e di polizia o dagli altri fini che abbiamo detto poc’anzi previsti dalla legge costituisce un trattamento illecito di dati personali, anche nelle ipotesi in cui siano state esposte nel corso di una conferenza stampa.


Per quanto riguarda i nomi degli indagati e degli arrestati, così come le altre informazioni ad essi riferiti, sono soggetti al segreto degli atti del procedimento imposto dal codice di procedura penale, fino a quando l’imputato ne ha avuto conoscenza e comunque non vi sia stata la chiusura delle indagini preliminari e nei casi decisi dal giudice del procedimento. Ad esempio, possiamo dire che il giornalista deve valutare se è opportuno rendere note le complete generalità di chi si trova interessato da un’indagine ancora in fase iniziale, e modulare il giudizio sull’entità dell’addebito.

Con la nuova direttiva europea e la normativa nazionale, per la prima volta, è stato riconosciuto il diritto dell’indagato a non subire la spettacolarizzazione dell’indagine che, di per sé, lede la reputazione della persona e compromette la serenità della difesa in giudizio. A prescindere dalle critiche che possono essere mosse nei confronti delle novità legislative, possiamo dire che esse, perlomeno, rappresentano un passo in avanti verso la concreta attuazione del principio della presunzione d’innocenza sia in ambito europeo ma anche costituzionale”.

Per quesiti e info scrivere a redazione@frosinonenews.eu

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