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Torna lo spettro del Covid, “Mio padre morto solo in una stanza di ospedale”: lo straziante racconto della figlia

Arpino - Le disposizioni della Direzione Sanitaria non prevedono che un parente possa stare accanto al congiunto nelle sue ultime ore di vita

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Arpino – Il toccante racconto della figlia di un uomo venuto a mancare qualche giorno addietro, in una famiglia molto conosciuta in città. Il babbo era stato ricoverato presso l’ospedale SS Trinità di Sora a seguito del peggiorare della sua patologia cardiaca: i figli erano consapevoli che molto probabilmente questa volta l’uomo non ce l’avrebbe fatta ma, con lui, non si sono arresi, hanno pregato e sperato fino all’ultimo respiro del pensionato. Una degenza, presso il nosocomio, scandita da alti e bassi, sempre con il respiro spezzato dalla paura che le condizioni dell’amato padre potessero degenerare da un momento all’altro. A rendere ancor più inquietanti questi giorni, le restrizioni imposte dalla Direzione Sanitaria, dettate anche dallo spettro del Covid che è tornato a terrorizzare, in particolar modo, i reparti degli ospedali. Si visitano i malati solo in orario di entrata, nessuna eccezione.

Quando l’uomo è stato ricoverato, circa 10 giorni prima del decesso, il suo tampone era negativo. Lo scorso venerdì sera la figlia, puntualmente a visita con la mascherina sul volto, essendo che le condizione del babbo erano peggiorate, è riuscita a “rubare” qualche ora per trattenersi accanto al padre ormai inconfutabilmente prossimo alla morte, per assisterlo, tenerlo per mano e non farlo sentire solo nel momento peggiore, quello del trapasso. “Scoperta” dal personale sanitario, la signora è stata immediatamente sottoposta a tampone e parrebbe essere risultata positiva quindi invitata ad allontanarsi all’istante e redarguita per aver passato qualche minuto in più vicino al papà. La mattina successiva, sabato, la donna si è recata in farmacia, ha ripetuto il test che, a distanza di poche ore, è risultato “miracolosamente” negativo: a quel punto ha chiamato in ospedale per chiedere se potesse entrare in reparto e stare con il papà, ormai in arresto cardiaco tra l’altro. Ma niente. L’uomo è deceduto nel pomeriggio, alla figlia è stato concesso di salutarlo per un minuto quando, era evidente, il babbo non c’era già più. Così come previsto dalle disposizioni antiCovid, la salma è stata sigillata nella cassa e trasferita in Camera Mortuaria: nessuno dei parenti ha potuto rivederlo e rispettare l’usanza, ovvero benedirlo con l’acqua santa.

E se è vero che “nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati”, la figlia rammaricata ricorre al “codice umano” e riflette con tanta amarezza «Non essendoci più niente da fare, papà potevano mandarlo a morire a casa dove il Covid si ferma dinanzi all’amore, al calore, alla vicinanza della famiglia. La morte è sicuramente più lieve quando una figlia, un parente, una persona che ti vuole bene ti stringe la mano, ti fa una carezza, ti sussurra parole di affetto. Avremmo firmato venerdì, risparmiandoci la pantomima del Covid, papà avrebbe esalato il suo ultimo respiro nel suo letto, con noi tutt’intorno. Non è giusto. Personalmente ho sofferto tanto già con mamma, qualche anno addietro, in piena pandemia, è morta da sola, lontano da noi. Non me lo perdono ancora. Adesso la medesima sorte è toccata a papà ma, questa volta, si sarebbe potuto evitare uno strazio così grande, in primis per mio padre. Sono molto arrabbiata, delusa, triste, tanti sentimenti e pensieri negativi nella mia mente. Negativi come il mio tampone Covid. Mi è stato detto che venerdì sera ero positiva e che ho contagiato io papà, in due ore che sono stata con lui l’ho contagiato? E poi sabato mattina mi sarei negativizzata? Non sono un medico per cui non mi esprimo in merito ma, dentro di me, non mi sento responsabile per la morte di mio padre. Papà non è morto per Covid, è morto perché stava male e non ce l’ha fatta. Sarebbe potuto morire a casa, con noi vicino a lui: questo rimane il mio cruccio».
 

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