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Suicidio in carcere, la Regione annuncia un tavolo. Ma tutto tace sull’emergenza suicidi in provincia

Giovedì un detenuto di appena 21 anni si è tolto la vita. La Regione si muove ma non dovrebbero esserci morti di serie A e morti di serie B

Immagine di repertorio
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Frosinone – Un giovanissimo detenuto si è tolto la vita giovedì pomeriggio nel carcere del capoluogo. “21 anni appena, più volte sottoposto a TSO, si è suicidato inalando gas”. – Come denunciato dai sindacati. “È il 48esimo suicidio in carcere dell’anno, il terzo in poco più di 24 ore, in una tragica e spaventosa sequenza. Ai suicidi dei reclusi vanno peraltro aggiunti quelli dei poliziotti penitenziari, ben 4 nel 2024. Una strage senza fine e senza precedenti. Ci chiediamo come facciano a prendere sonno coloro che ne hanno, innegabilmente, la responsabilità politica e morale”. Aveva denunciato Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria.

Un’emergenza per la quale sono senza dubbio necessarie misure urgenti. La Regione Lazio si è, così, prontamente attivata. Luisa Regimenti, assessore al Personale, alla Sicurezza urbana, alla Polizia Locale, agli Enti Locali e all’Università della Regione Lazio, ha annunciato che si farà promotrice di un tavolo di lavoro interistituzionale. «L’ennesimo suicidio in un istituto penitenziario, questa volta a Frosinone, rappresenta una sconfitta per lo Stato e per tutti coloro che credono nel valore rieducativo della pena e nella possibilità per i detenuti di poter iniziare una nuova vita dopo il carcere. Il tasso di sovraffollamento e altre criticità espongono le persone detenute, assieme a quelle che in carcere lavorano, a una quotidianità che rischia di porre in discussione i diritti fondamentali della persona. La civiltà di un Paese, come sosteneva Voltaire, si misura dalle sue carceri ed è urgente agire per restaurare dignità e umanità», ha affermato. Poi ha aggiunto «In Regione Lazio stiamo lavorando ai nuovi bandi per il reinserimento sociale dei detenuti e per garantire il diritto all’istruzione. Intendo, inoltre, essere promotrice di un tavolo di lavoro interistituzionale che, recependo un atto di indirizzo della Conferenza unificata mai attuato nel Lazio, coinvolga il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, il Garante delle persone private della libertà personale, le Asl e le associazioni che operano negli istituti penitenziari. L’obiettivo è quello di elaborare un Piano regionale per la prevenzione dei suicidi negli istituti penitenziari. Molte volte si verificano eventi sentinella, i quali, se colti tempestivamente, possono essere fondamentali per entrare in contatto con le persone detenute e attuare idonee azioni di sostegno».

Silenzio assordante sull’emergenza suicidi in provincia di Frosinone

Ben venga l’attenzione della Regione Lazio sull’emergenza suicidi negli istituti penitenziari. Ben vengano tavoli di lavoro per mettere in atto ogni azione necessaria a scongiurare che simili episodi continuino a verificarsi. C’è da chiedersi, però, perché nessun esponente politico, regionale e locale, si sia interessato ad un’altra emergenza. Quella dei suicidi fuori dal carcere.

In provincia di Frosinone, in appena 40 giorni, dall’8 maggio al 17 giugno, si contano nove morti. Un bilancio drammatico, un’emergenza sociale sulla quale politica ed istituzioni continuano a tacere. Delle nove vittime sei erano giovanissime, tra i 16 ed i 34 anni. Senza contare i tentati suicidi: 4 in dieci giorni.

Abbiamo chiamato in causa il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. – LEGGI QUI – Non pervenuto. Abbiamo fatto appello alla consigliera Alessia Savo, presidente della VII Commissione Sanità. – LEGGI QUI – Nessuna risposta. Nessun politico, tra i numerosi interpellati nelle ultime settimane, anche in privato, ha deciso di esporsi. Un terreno troppo scivoloso. Troppo scomodo ammettere di aver fallito. Troppo scomodo dichiarare che il sistema assistenziale e sanitario, sul fronte della salute mentale, faccia acqua da tutte le parti.

In provincia di Frosinone – lo ricordiamo – stando alle stime di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, in rapporto alla popolazione, servirebbero almeno 40 psichiatri nelle strutture ospedaliere preposte. A conti fatti, non arriviamo neppure alla metà. Servirebbero almeno 20 neuropsichiatri infantili, ne abbiamo all’incirca 7. I Csm della provincia sono al collasso. Per non parlare del Reparto di SPDC, unico superstite di un’impietosa politica di tagli alla sanità che ha chiuso la porta in faccia a migliaia di famiglie.

Alla luce di questi tragici fatti di cronaca sarebbe forse il caso di rivedere le priorità e le politiche d’investimento sulla salute mentale. Le malattie mentali, quel male del secolo di cui nessuno vuole parlare, sono in costante aumento. La più comune è la depressione, tra le prime cause di suicidio. I nostri giovani e non solo, come anche le loro famiglie, non hanno gli strumenti per combattere da soli. Accade così che si veda la morte come unica via d’uscita da una sofferenza che attanaglia a tal punto da annientare ogni desiderio di continuare a vivere.

Parliamo di emergenza da settimane, – LEGGI QUI – nessun tavolo è stato però convocato. Ora un altro giovane si è tolto la vita. Era in carcere ma questo non fa alcuna differenza. Non dovrebbero esserci morti di serie A e morti di serie B. Il tema salute mentale non può continuare ad essere un tabù. L’emergenza va affrontata. Ma non solo quella legata ai penitenziari. Quale confine dovrà essere ancora valicato perché chi di competenza intervenga? Con i fatti, però, perché il tempo per le parole è ormai ampiamente scaduto.

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