È negli occhi e nelle parole di un familiare di una vittima di suicidio, che ha ringraziato gli organizzatori dell’appuntamento, tutta l’essenza e il valore del convegno “Suicidio, cambiare la narrazione per abbattere il silenzio e lo stigma sociale” tenutosi sabato scorso a Vicalvi, presso il Centro Sociale. Un momento di confronto che ha destato grande attenzione richiamando presenze anche dai comuni limitrofi. Un dibattito del quale, visti i contenuti emersi, si aveva necessariamente bisogno. Per fissare un punto di partenza, per tracciare una rotta sulle azioni da intraprendere per fermare quella che, ormai da sei mesi, in questa provincia, appare come una vera e propria emergenza sociosanitaria.
Ventisei vittime e quasi 40 tentati suicidi. Sono i numeri agghiaccianti emersi nel corso dell’incontro organizzato dalle Acli di Frosinone con il Patrocinio del Comune di Vicalvi e della Provincia di Frosinone. A moderare gli interventi, il Condirettore del nostro Gruppo editoriale, la giornalista Roberta Di Pucchio. Centrali per “cambiare la narrazione” gli spunti offerti dal Colonnello Gabriele Mattioli, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Frosinone, dal Dott. Filippo Morabito, Psichiatra e già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Frosinone, e dal Dott. Serafino Pontone Gravaldi, Pediatra e membro della Direzione Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri. Un ulteriore contributo significativo è arrivato anche da Don Antonio Lecce, parroco di Posta Fibreno, dal Sindaco di Vicalvi, Mario Ferrera e dal Presidente delle Acli, Maurizio Paolucci.





Ad illustrare i numeri dell’emergenza il Colonnello Mattioli. I suoi uomini e le sue donne sono intervenuti nella quasi totalità dei suicidi e dei tentati suicidi che si sono registrati nel 2024. Ad allarmare, oltre al numero delle vittime, quello dei tentativi di togliersi la vita che sono quasi raddoppiati rispetto agli anni precedenti. Un segnale di un malessere profondo, di una mancanza di soluzioni e punti di riferimento. Il Colonnello Mattioli, nel suo intervento ha illustrato le azioni adottate dall’Arma dei Carabinieri per prevenire e contrastare il triste fenomeno. Azioni che potrebbero essere mutuate sui territori. Dal numero verde attivo tutti i giorni per fornire supporto a chi lo richiede, in forma anonima, alle convenzioni con l’ordine degli psicologi per prestare la massima attenzione anche nei confronti del nucleo familiare delle vittime, passando per l’istituzione di tavoli permanenti per lo studio di questi fenomeni.

“Sicuramente un approccio attento può fare la differenza. È chiaro che ci troviamo davanti ad un disagio diffuso, soprattutto tra i giovani, che va analizzato a 360°. Dobbiamo ascoltare i nostri ragazzi, interrogarci tutti e riflettere. Se questi fenomeni sono in aumento e se si assiste ad un abbassamento dell’età media, è evidente che stia accadendo qualcosa a livello sociale. Penso che ognuno di noi possa fare la differenza. L’Arma dei Carabinieri continuerà il suo impegno nelle scuole e nei luoghi di aggregazione, per il contrasto ad ogni forma di illegalità, per essere al fianco delle nuove generazioni, per contrastare fenomeni che possono davvero rovinare delle giovani vite”. – Ha evidenziato il Colonnello Mattioli analizzando in che modo le dipendenze, il bullismo, il cyberbullismo possano influenzare la stabilità mentale dei giovani portandoli, come raccontano le cronache quotidiane, anche a cercare nel gesto estremo l’unica via d’uscita da una condizione di sofferenza che appare insormontabile.
È a questo che si è agganciato il racconto di Don Antonio Lecce che ha portato la sua testimonianza di parroco raccontando di come la sensazione di non aver fatto abbastanza per salvare la vita di un giovane gli sia rimasta nel cuore e nell’anima. Un ragazzo problematico, che si era avvicinato alla parrocchia; per un breve periodo ne aveva trovato giovamento, impegnandosi nella musica, ma poi quel male di vivere che lo attanagliava aveva preso il sopravvento. Così quel giovane era divenuto nuovamente una “pecorella smarrita” fino a quando ha deciso di porre fine alla sua vita. Don Antonio si è chiesto quanto e cosa avrebbe potuto fare in più per evitarlo.
Una domanda che è risuonata forte tra i presenti, suscitando emozioni contrastanti. Una domanda che, forse, non si sono posti i rappresentanti politici ed istituzionali di questo territorio che continuano a voltarsi dall’altra parte davanti all’emergenza senza studiare soluzioni concrete. Nella giornata di sabato, a poche ore dal convegno, un segnale importante è arrivato dal Commissario Straordinario Asl. La Dottoressa Sabrina Pulvirenti ha infatti assicurato, tramite la nostra Redazione, la disponibilità ad un incontro, entro la prossima settimana, per valutare azioni a breve e lungo termine da mettere in campo in tema di salute mentale.
Una piccola luce in fondo a quel tunnel che da mesi hanno attraversato decine e decine di persone. Madri, padri, sorelle, fratelli, figlie, figli, nonni, amici. La più giovane delle vittime aveva appena 16 anni, il più anziano 88. La metà dei decessi si registra tra i giovani ed a togliersi la vita sono stati più uomini che donne. Stesso trend per chi ha tentato il suicidio.
Ventisei vittime e trentotto sopravvissuti nei confronti dei quali l’intero sistema, assistenziale e sanitario, ha completamente fallito.
Proprio di un sistema assistenziale e sanitario ha parlato il Dott. Filippo Morabito. Per decenni alla guida del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Frosinone, conosce bene ogni falla del sistema. “Non abbiamo i numeri per garantire neppure i livelli minimi di assistenza – ha spiegato – siamo lontanissimi dai criteri forniti da Agenas. Le scarse risorse di personale, da sole, non bastano a gestire neppure la metà dei casi che hanno visto, negli ultimi anni, un aumento vertiginoso. Senza che se ne prendesse atto e senza che si studiassero le necessarie misure per fronteggiare il problema. Il risultato che ci riportano le cronache è solo la punta dell’iceberg perché sono migliaia i giovani e non solo che hanno bisogno di supporto”. Il Dottor Morabito ha parlato anche della “necessità di interventi multidisciplinari e multidimensionali, di servizi attenti, coesi ed articolati”. In sostanza, serve fare rete attorno alle persone più fragili. Dalla scuola, alla famiglia, ai luoghi di lavoro.
E quella rete sociale, assistenziale e sanitaria non deve partire quando i disturbi sono ormai manifesti o, peggio, quando ormai c’è poco o nulla da fare. Si deve attivare molto prima, per prevenire. È su questo che si è concentrato il Dottor Pontone Gravaldi. Ancor prima dell’età pediatrica c’è una fase della nostra vita fondamentale per il nostro sviluppo in età evolutiva e poi adulta: è la gestazione. Recenti studi hanno dimostrato quanto sia centrale supportare le donne e la famiglia durante la gravidanza per la salute della mamma e del bambino.

“Dobbiamo partire già dai consultori. Guidare i genitori, fornire loro gli strumenti adeguati per poter gestire le prime fasi di vita del bambino e il loro percorso di crescita. E questo è centrale per il benessere psico-fisico. – Ha evidenziato il pediatra fornendo dei dati agghiaccianti – Più della metà dei bambini che subisce un ricovero, anche per problematiche banali, manifesta un pensiero suicidario. È esattamente lì che siamo ancora in tempo per agire. I medici, i pediatri hanno il dovere di intercettare segnali, di fornire alle famiglie gli strumenti per interpretarli e le soluzioni. Alcune volte quando parlo con genitori di bambini in sovrappeso mi sembra che solo spiegando loro i rischi che quel sovrappeso può comportare comprendano la gravità della situazione e la necessità di intervenire. Ecco, spieghiamo ai genitori che un bambino con disturbi dell’umore, del sonno, dell’alimentazione non va preso sottogamba. Che quelli possono essere i segnali più o meno evidenti di un malessere più grande e sotteso. L’ascolto, il dialogo e la capacità di mettere a sistema le informazioni, ognuno per il suo ruolo, possono incidere molto in termini di prevenzione”.
Quello di sabato a Vicalvi non è stato un punto di arrivo ma un ottimo punto di partenza. Per “cambiare la narrazione” era necessario iniziare a parlare del problema. “Abbattere il silenzio e lo stigma sociale”. Gli autorevoli esperti intervenuti lo hanno fatto, sensibilizzando il pubblico in sala. E il Presidente delle Acli Paolucci ha preso l’impegno di replicare nuovi incontri in altri comuni della provincia e nelle scuole. C’è una parte “sana” della nostra società che ha compreso la gravità dell’emergenza che stiamo affrontando, nel silenzio assordante di chi potrebbe e dovrebbe dare risposte concrete.