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Suicidi, altre due vittime in una settimana. Sono 20 in cinque mesi: l’emergenza ignorata

Nella metà dei casi vittime giovanissime. Il fallimento di un sistema e della governance di FdI che continua a voltarsi dall'altra parte

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Due suicidi e un tentato suicidio nella prima settimana di ottobre. Sono i numeri di un’emergenza senza fine che in Ciociaria si continua a registrare dallo scorso 8 maggio. In cinque mesi si contano venti suicidi e più di venti tentati suicidi. Nella metà dei casi le vittime sono giovanissime, tra i 16 ed i 40 anni. Da mesi, ormai, nel silenzio assordante di politica e istituzioni si continua ad assistere ad una scia di morte che ha spezzato vite, distrutto decine di famiglie lasciate sole con il dolore della perdita, del lutto, del senso di impotenza, del senso di colpa per non aver fatto abbastanza.

Il fallimento del sistema

Il sistema assistenziale e sanitario in provincia di Frosinone ha fallito. Un dato di fatto innegabile che dall’otto maggio ad oggi abbiamo messo decine di volte davanti ai rappresentanti politici locali e regionali che si sono sempre voltati dall’altra parte scegliendo la strada del silenzio. A settembre scorso si era riunito il primo tavolo di coordinamento convocato dal Distretto Sociale B, “per condividere esperienze e buone pratiche”. In una nota stampa si leggeva: “A breve, il tavolo tecnico si riunirà nuovamente per procedere alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa con linee d’azione condivise”. Nel frattempo altre tre persone si sono tolte la vita: una donna di 40 anni, un uomo di 70 e un ragazzo di 22.

Ben venga l’impegno dei partecipanti a quel tavolo ma in una situazione d’emergenza come quella alla quale stiamo assistendo da mesi vanno prese misure concrete, efficaci e tempestive. Occorrono investimenti economici mirati da parte della Regione che tanto sbandiera investimenti sulla sanità lasciando però che il Lazio sia fanalino di coda in tema di salute mentale.

Salute mentale, l’Italia degli ultimi

Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, nel Lazio sono 1,5 milioni le persone che soffrono di disturbi mentali (27,1% della popolazione) e fra questi, il disturbo depressivo maggiore rappresenta una delle principali problematiche, con 20mila nuove diagnosi rilevate solo nel 2021 dall’ISTAT. Parliamo di una delle principali cause di suicidio. Nonostante l’attuale situazione di emergenza e i dati allarmanti, il nostro Paese si posiziona agli ultimi posti in Europa per risorse economiche allocate per la salute mentale, con un finanziamento che si attesta circa al 3,4% del Fondo Sanitario Nazionale, contro il 10% di altri Paesi ad alto reddito (es. UK, Germania e Francia). Su scala regionale, secondo una rielaborazione dei dati della Società Italiana di epidemiologia pediatrica e i dati del ministero della Salute 2021, la Regione Lazio si posiziona al di sotto della media italiana, destinando alla salute mentale solo il 2,7% del Fondo Sanitario Regionale. 

Questi dati sono emersi a Roma, nei mesi scorsi, in occasione dell’ultimo appuntamento della ‘Johnson & Johnson Week: Insieme verso la medicina del futuro’. Alla luce proprio dei dati allarmanti diffusi, è di cruciale importanza promuovere la conoscenza dei disturbi mentali, ridurre lo stigma sociale verso le persone che ne sono affette e favorire una corretta e tempestiva presa in carico del paziente, per migliorare il benessere delle persone e mitigare gli impatti sociali ed economici correlati alle patologie. 

La Regione Lazio dovrebbe concentrarsi su azioni mirate, come ad esempio l’umanizzazione delle cure, per mettere al centro la persona; servizi di prossimità che possano essere raggiunti facilmente dal paziente o addirittura trovare forme di comunicazione alternative e, infine, la cosa più importante: l’integrazione socio-sanitaria. Investire sui territori per potenziare le cure nei distretti e avere un numero adeguato di professionisti. Occorrerebbe mappare tutti i casi da attenzionare in questa provincia e predisporre una “task force” che intervenga prima che sia troppo tardi, caso per caso, casa per casa, famiglia per famiglia. Ma per farlo, ripetiamo, servono fondi immediati e non tavoli, audizioni e lungaggini. Quando si comincerà ad affrontare il problema? Quale numero di morti e di vite salvate in extremis è abbastanza per agire? 

Le famiglie lasciate sole: un dramma nel dramma

Lo scorso 5 ottobre ad Alatri, una delle città che più delle altre ha pagato un prezzo alto in termini di vite spezzate, si è tenuto il convegno “Il gesto suicidario: comprenderlo per prevenirlo”.

“È cosa nota che perdere una persona cara, inizialmente, consegna chi rimane ad un abisso di solitudine. Perderla per suicidio consegna i sopravvissuti all’abisso più profondo: quello in cui, un taglio unilaterale, violento, netto e irreparabile, fa morire non solo la persona amata ma anche una parte cardinale di quel noi psicologico e sociale costruito insieme nel corso degli anni. Il lutto per suicidio non è uguale a nessun altro tipo di lutto. Questo lutto è interamente pervaso da numerosi sensi di colpa e da sentimenti di vergogna, genera una serie di interrogativi che squalificano gran parte di tutto ciò che i sopravvissuti hanno fatto nella loro esistenza. Inoltre, è risaputo che l’impatto sociale e psicologico di un suicidio sulla famiglia e sulla comunità è incalcolabile”. – Hanno spiegato da AMA – Associazione Auto Mutuo Aiuto Ceprano e Provincia di Frosinone OdV – che ha organizzato l’appuntamento.

Cosa si è fatto e cosa si sta facendo per quelle venti famiglie che hanno dovuto elaborare un lutto così devastante in questi mesi? Poco, per non dire nulla. Quanto è alto il rischio che una madre, un padre, un figlio, una figlia, una sorella, un fratello, una moglie, un marito costretti ad elaborare da soli un lutto tanto grande possano sviluppare un disturbo mentale o, peggio, possano sperimentare istinti suicidari? Molto. E non lo diciamo noi ma gli esperti più autorevoli in materia. Un dramma nel dramma che nessuno si è premurato di affrontare e gestire.

L’emergenza di questa provincia continua ad essere ignorata. E la governance di FdI che guida la Regione Lazio, con autorevoli rappresentanti eletti proprio in questa provincia, a partire dalla consigliera regionale e presidente della Commissione regionale sanità, Alessia Savo, continua a fingere che il problema non sia di sua competenza.

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