Un coltello impugnato come se fosse un giocattolo, poi il caos. È quanto accaduto la scorsa settimana al liceo Martino Filetico di Ferentino, quando un giovane studente ha accoltellato un coetaneo di 16 anni. L’episodio ha lasciato la scuola e la comunità sotto shock, alimentando un crescente senso di allarme su una problematica che sembra ripetersi con preoccupante frequenza: l’avvicinamento dei giovani alla violenza come strumento di risoluzione dei conflitti.
Non si tratta più di casi isolati. Sempre la scorsa settimana, un altro grave episodio si è registrato ad Anagni, dove un giovane, all’interno di una sala di distribuzione automatica, ha minacciato un altro ragazzo puntandogli un coltello all’altezza dell’ombelico per estorcergli del denaro.
I ragazzi del liceo Filetico non hanno assistito passivamente a quanto accaduto. Nei giorni successivi all’accoltellamento, hanno scelto di farsi sentire, scendendo in piazza per manifestare. Non si è trattato, come spesso accade, di una protesta dettata dalla voglia di saltare un giorno di scuola. Gli studenti hanno voluto lanciare un messaggio chiaro. “Abbiamo deciso di manifestare non per sfogare la rabbia o per evitare le lezioni – spiegano i rappresentanti degli studenti del Filetico – ma per prendere una posizione netta contro ogni forma di violenza. Vogliamo dimostrare che non si può continuare a restare inerti, delegando tutto alla giustizia. Con la nostra protesta, abbiamo voluto dare una lezione di civiltà agli adulti e smascherare le contraddizioni di un sistema che sembra sempre più incapace di reagire”.
Fermiamo la violenza giovanile: il cambiamento inizia dalla scuola e dall’educazione emotiva
Il crescente numero di episodi di violenza giovanile non può essere spiegato con semplici etichette o colpe. Il fenomeno ha radici complesse e molteplici, che affondano in una crisi educativa che riguarda non solo la scuola, ma l’intero contesto sociale in cui i giovani crescono. Uno degli aspetti più trascurati, ma cruciali, è la mancanza di una vera e propria educazione emotiva all’interno delle scuole. L’istruzione tradizionale si concentra su voti, interrogazioni e rendimento, ma tralascia spesso la crescita interiore e la capacità di gestire le emozioni. Eppure, in un periodo di formazione così delicato, i ragazzi dovrebbero essere supportati anche nella comprensione e gestione dei propri sentimenti. La scuola dovrebbe essere un luogo in cui si impara a risolvere i conflitti in modo costruttivo, a gestire la frustrazione e a trovare alternative alla violenza, specie per coloro che vivono in famiglie problematiche o provengono da contesti sociali difficili.
Eppure, nonostante gli sforzi di alcuni istituti e insegnanti, c’è ancora molta strada da fare. Finché la scuola sarà concepita come un luogo in cui l’unico metro di valutazione è il rendimento accademico, episodi di violenza come quelli di Ferentino e Anagni continueranno a ripetersi. È evidente che per fermare questa spirale negativa sia necessario ripensare il sistema educativo, ma non solo. La responsabilità è anche delle generazioni adulte, che devono imparare a prestare maggiore attenzione alla crescita emotiva dei ragazzi, fornendo strumenti e spazi adeguati per esprimere e canalizzare le loro emozioni.
Il problema non è, dunque, la “gioventù bruciata” o una generazione perduta. Il vero problema è una società che non offre abbastanza opportunità per crescere in modo sano, che non educa davvero e che lascia i più giovani da soli ad affrontare le loro paure e le loro insicurezze. Solo ripartendo dall’educazione emotiva e dall’ascolto delle nuove generazioni si potrà sperare di invertire questa pericolosa tendenza. La sfida è grande, ma ignorarla significa lasciare campo libero alla violenza.