Park Chan-Wook lo avevo amato per la trilogia della vendetta, soprattutto per quel crudele e doloroso affresco di morte che è lo splendido ‘Old Boy’, e dopo ‘Stoker’ sono diventata sicura del fatto che non smetterò di volergli bene, in fondo se lo merita. Horror famigliare, psyco thriller, la pellicola in questione del sudcoreano tinteggia lo schermo del rosso del sangue e ti rapisce con il rosso della passione.
La trama
India (Mia Wasikowska) è appena maggiorenne e già si appresta a vivere una tragedia: la morte del papà Richard cui era molto legata. Proprio a causa di questo legame particolare con la figura paterna, Mia si allontana dalla madre (Nicole Kidman), incapace di stabilire un contatto con la propria figlia. Durante le esequie funebri arriva un misterioso personaggio: fa la sua comparsa lo zio Charlie (Matthew Goode), l’eccentrico fratello di Richard. Né India né Evelyn possono restare indifferenti al nuovo personaggio e ben presto si insinua una strana attrazione. La normalità non ha scampo nel quadro dipinto da Park Chan-Wook, e così essa non può altro che essere spazzata da un vortice di bugie, follia ed oscuri segreti.
Distruzione di una famiglia borghese
Dimenticate i canini appuntiti – ma non la ‘sete’ di sangue -, dimenticate croci e aglio: in Stoker i parassiti si nutrono soprattutto di emozioni, con una figlia attaccata al ricordo di un padre defunto, una vedova che non vede l’ora di sentirsi nuovamente desiderata e uno zio che vuole riconquistare il suo posto in famiglia dopo anni di assenza. Tutti vogliono tutto e subito. Ed è lì che il regista impasta una spirale di violenza e follia, mettendo in scena la distruzione totale della famiglia borghese americana. Se la sceneggiatura di Wentworth Miller è solida ma semplice, la regia ne sfrutta sapientemente le atmosfere evocate, tra suspence e feticismo, in un gioco di rimandi che pare più un tranello giocato di sponda, ma con un pizzico di irriverenza che in questo caso non guasta. Una regia brillante che corre di fianco al plot, anzi, lo spinge a galla, una regia che non cerca di sopraffarlo; una regia che mette in scena piani sequenza perfetti e carichi di narrazione. Pervaso da un certo senso di sadismo – seppur contenuto – che strizza l’occhio a quel cinema asiatico che va da Kitano a Miike passando per Kim Ki Duc, Stoker vampirizza lo spettatore (e non poteva essere altrimenti, visto il titolo) anche grazie ad un cast davvero efficiente. Su tutti brilla Mia Wasikowska, ma anche la Kidman sfila dal cilindro una prova più che egregia. Quasi ipnotico l’affascinante Matthew Goode, personificazione del turbamento e del male.
Affresco tortuoso, raffinato e oscuro
L’erotismo della messa in scena si abbandona lascivo ad una forma sofisticata e ambigua secondo la lezione hitchcockiana: ci si nasconde, ci si spia, ci si ammanta di morbosità e scabrosità. E si varca la soglia del dolore. Tortuoso e raffinato, con Stoker Park Chan-Wook si è diviso tra arte e industria, ma a conti fatti la sua bravura è rimasta immutata e l’operazione è meno commerciale di quanto si possa immaginare. Stoker è una fiaba gotica, narrata sulle note dell’erotismo e della scabrosità, ma anche della freddezza. Le scelte e le reazioni agli eventi dei personaggi risultano spiazzanti e devastanti in maniera bidirezionale: Lo spettatore è coinvolto emotivamente ed eticamente, sollecitato a provare una gamma di sensazioni contrastanti fra loro. L’empatia e la compassione fanno posto al ribrezzo e al disgusto e viceversa, per un turbinio che si dissolve in un finale amaro e stordente. Il regista ci dona così un ritratto senza mezze misure dei rapporti familiari, vincolanti ed ambigui, riuscendo nell’intento di far riaffiorare lentamente il lato più recondito e oscuro dell’animo umano.
Dettagli
Titolo originale: id.
Regia: Park Chan-Wook
Sceneggiatura: Wentworth Miller
Fotografia: Chung-hoon Chung
Cast: Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode, Dermot Mulroney, Jacki Weaver, Lucas Till, Alden Ehrenreich