Sparatoria a Frosinone, l’ombra del Kanun: la vendetta di sangue del codice albanese che fa paura

C'è chi teme altri spargimenti di sangue. Ma ai signori della droga la "confusione" non piace e potrebbero aver disposto la tregua

Frosinone – “Non dimenticate che sono albanesi. Seguono ancora le leggi del Kanun ma adattate ai loro interessi”. A rivelarlo è un giovane albanese nato e cresciuto in Italia. Non appartiene a nessuna delle famiglie coinvolte nella sparatoria di sabato scorso in via Aldo Moro, non fa parte delle due bande rivali ma ne conosce bene le dinamiche e, a domanda diretta sull’ipotesi di imminenti vendette, ha risposto così. Con il “Kanun”, la famosa “vendetta di sangue” del Paese delle Aquile. Un Codice delle Montagne albanesi che ai più potrebbe sembrare ormai superato e arcaico ma che spesso, anche nel nostro Paese, è tornato in auge a seguito di fatti di sangue che hanno visto coinvolti soggetti albanesi.

L’articolo 125 del “Kanun” recita: “Secondo il Codice antico delle Montagne albanesi, soltanto l’omicida cadeva nella vendetta del sangue, cioè solo quello che con il fucile o con qualunque altra arma uccideva una persona. La famiglia dell’ucciso non poteva inseguire, né uccidere alcun parente o nipote o cugino dell’omicida, ma solo quest’ultimo. Il Codice posteriore abbraccia nella legge della vendetta o del taglione, tutti i maschi della famiglia dell’omicida, anche se sono in fasce, i cugini ed i nipoti più prossimi, ancorché divisi, possono incorrere nella vendetta entro le prime 24 ore dall’avvenuta uccisione“.

Le prime 24 ore dal delitto sono abbondantemente trascorse. Ma se, come rivela il giovane albanese, le nuove generazioni, soprattutto quelle che vivono di criminalità, seguissero le leggi secondo i loro interessi, l’ipotesi vendetta di sangue resterebbe ancora in ballo. Che si tratti di retaggi di una cultura lontana dalla nostra o meno, quel che traspare dalle parole del ragazzo è che la faida potrebbe non essere conclusa con la sparatoria di sabato.

Un’ipotesi – non quella dell’applicazione del Kanun ma di possibili vendette – che è tenuta in considerazione anche dalle Forze dell’Ordine. Il Questore Domenico Condello ha infatti impartito precise disposizioni: controlli serrati su tutto il territorio e, in particolare, nelle zone considerate più ad alto rischio.

Il punto sulle indagini

Intanto nella giornata di ieri è stata eseguita l’autopsia sul corpo della vittima della sparatoria, Kasmi Kasem, 27 anni. Il medico legale, Fabio Di Giorgio, avrà sessanta giorni per depositare i risultati. Il sostituto procuratore Samuel Amari che coordina le indagini ha anche conferito l’incarico ad un esperto informatico che ora dovrà eseguire le copie forensi dei tre telefonini sequestrati al gruppo di albanesi che era con Mikea Zaka, il 23enne reo confesso.

Gli investigatori della Squadra Mobile, agli ordini del dirigente Flavio Genovesi, continuano a scavare per accertare il contesto nel quale sia maturato il delitto. La pista dello scontro tra bande per il controllo dello spaccio e forse anche della prostituzione, resta quella più accreditata. Non convince la versione fornita dal Mikea Zaka durante la sua prima confessione rilasciata sabato notte. In quella circostanza avrebbe rivelato di aver sparato all’arrivo dei due gruppi di fratelli per difendersi e che i quattro lo stavano cercando per regolare i conti su una donna contesa. Da lì, si è avvalso della facoltà di non rispondere e interrogato dal Gip, che nella giornata di lunedì ha convalidato l’arresto, ha scelto la strada del silenzio non svelando altro. Gli inquirenti non credono però a questa versione. La pista sentimentale, dunque, non convince. Ma le indagini serviranno a fare chiarezza anche su questo. Non appena le condizioni dei tre feriti miglioreranno – questione di giorni – saranno ascoltati anche loro. Riflettori puntati su quelle che saranno le dichiarazioni di Ervin Kasmi, fratello della vittima e rimasto gravemente ferito nella sparatoria. Sempre che decida di collaborare.

Le bande tra il Casermone e Corso Lazio

Non solo il buco nero del “Casermone” al centro dell’indagine. L’enorme blocco di cemento da sempre terra di nessuno non è la sola roccaforte degli albanesi che gestiscono il mercato della droga nel capoluogo. In Corso Lazio ci sono altre famiglie di spicco. Dopo la sparatoria di sabato hanno sicuramente dovuto rivedere l’organizzazione dei loro affari illeciti. Con il fiato sul collo da parte delle Forze dell’Ordine e l’ipotesi vendette, qualcuno potrebbe fare passi falsi. E forse è proprio questo che gli investigatori attendono.

C’è però anche da considerare che ai signori della droga la “confusione” non piace. I capi non vogliono sparatorie tra la folla, morti in strada, regolamenti di conti plateali. Attirano le Forze dell’Ordine, accendono i riflettori su quei punti per loro nevralgici. Meglio che tutti continuino a crederli un’oasi felice. È esattamente quello che è accaduto da sabato sera a Frosinone. Il capoluogo a suon di spari in via Aldo Moro e corpi in strada ha avuto chiaro che di oasi felice non ha più neppure l’ombra. E chissà che proprio qualcuno tra quelle famiglie di spicco di Corso Lazio o del Casermone non abbia già deciso per la “tregua”. Almeno finché le acque non saranno chete e i riflettori spenti.

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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