Nella mattinata di ieri la troupe del Tg Regionale in onda su Rai 3 ha raggiunto il centro di Sora per realizzare un servizio sulla dilagante problematica dell’uso di sostanze stupefacenti. La cittadina volsca è stata definita come un luogo “in cui cresce il traffico di stupefacenti gestiti da camorra e bande locali”.
In questi ultimi giorni più volte la stampa ha testimoniato la raccolta di numerose siringhe tra i vicoli e le aree più critiche della città: nelle immagini anche fiale di metadone e fazzoletti sporchi di sangue. Una situazione preoccupante della quale si è discusso quest’oggi in Municipio, durante la riunione del Consiglio Comunale. Le politiche sul contrasto all’uso di sostanze psicotrope sono fondamentali: le istituzioni hanno il dovere di formulare e mettere in pratica opportune iniziative che disincentivino la dipendenza. Un consumo ridotto se non azzerato di droghe corrisponde al mettere fine anche allo spaccio.
A fornire una preziosa testimonianza in questa direzione, nella giornata di ieri, la presenza della Comunità di Recupero “Figli di Sion” di Castel di Sangro i cui operatori, per l’occasione, da L’Aquila hanno voluto raggiungere Sora per sensibilizzare la comunità sul forte aumento del consumo di droghe ma anche delle dipendenze quali alcolismo e ludopatia.
Così Loreto Pagnani, responsabile del Centro di Ascolto della Comunità “Figli di Sion” «Ogni giorno a Sora si raccolgono tante siringhe, è evidente che il problema sia molto più grande di ciò che si pensa. In comunità tra i nostri obiettivi c’è quello di confrontarci e parlare con le famiglie affinché prendano coscienza del disagio e lo affrontino con cognizione. Nasconde o ignorare la problematica non porta a nulla se non a far sì che questa degeneri. Il sostegno di un centro di ascolto aiuta ad uscire dalla vergogna. Non denunciare o continuare a “campare” un figlio con dipendenza corrisponde a concedergli di coltivare la sua dipendenza».
Pagnani continua «Le persone che si rivolgono alla nostra comunità “Figli di Sion” devono essere coscienti del loro disagio: la comunità non è un “carcere”, è un luogo dove si insegna il rispetto per le regole, si imparano tante cose, ci si responsabilizza. In comunità si fanno i turni in campagna, per le pulizie, in sala gessi, nella falegnameria, in cucina: non è concesso oziare, l’ozio riporta indietro nel tempo. Una vita priva di regole ed impegni piacerebbe a tutti ma la vita è anche negazioni, privazioni, tenere a bada l’impulso, pensare prima di agire: è questo ciò che insegna la comunità». Poi Pagnani conclude «Noi non passiamo tramite SerT, gli ospiti possono contattarci direttamente. Ci avvaliamo del supporto di professionisti, tra cui una psicologa, ma i veri operatori sono gli stessi ragazzi che hanno concluso il percorso di recupero e scelgono di rimanere in comunità. Al momento accogliamo 26 ospiti, 8 sono di Sora, 1 di Isola del Liri. A pieno carico possiamo ospitare circa 40 persone».
Tra i “Figli di Sion” c’è anche Matteo Taglione, 32 anni di Isola del Liri. Il giovane è entrato in comunità l’8 luglio 2019 ed ha concluso il suo percorso di recupero il 24 giugno scorso. È voluto rimanene presso la struttura per collaborare come operatore e poter raccontare la sua esperienza di “vita piatta” agli ospiti: «Adesso la mia vita è piena, sono sereno, felice, penso al futuro, faccio progetti. Mi sono iscritto alla facoltà universitaria di Scienze Religiose, ho già dato alcuni esami, posso vantare la mia ottima media del 25». Matteo, con straordinaria determinazione, affronta questa nuova sfida, un cambiamento radicale che lo proietta ad una vita vissuta a pieno.

Riccardo Mammone, 35 anni, di Sora, è, invece, in comunità da 9 anni: il suo percorso di recupero è durato 4 anni, ora collabora attivamente e costantemente con la struttura: «All’inizio la droga sembra essere un divertimento, un modo diverso per passare la serata, pensiamo di poter gestire la situazione, senza soccombere alla dipendenza. Purtroppo non è così, si va oltre, perdiamo il controllo, non siamo più noi a decidere ma è la droga. L’appello che mi sento di fare ai ragazzi, ai giovani come me, alle persone più adulte, è quello di pensare al futuro: pensiamo a non rimanere soli perché la dipendenza ci riduce a questo, a restare soli, isolati da tutti, a perdere i contatti con la famiglia, a non costruire o coltivare rapporti umani. La tossicodipendenza ci affonda nella solitudine: dobbiamo essere forti, per rimettere noi stessi al centro e tornare a vivere, a far parte di una società, anche se questa molto spesso ci ignora». Fiducioso Matteo conclude «Siamo noi a fare la differenza, non corriamo il rischio di finire i nostri giorni quando ancora abbiamo tanto da vivere. Io ho 35 anni, sono cresciuto rispetto a 10 anni fa quando mi sono perso: non recupererò gli anni che ho gettato via ma oggi mi sento maturo, sono una persona diversa e sono pronto e felice di poter ricostruire il mio futuro».

Testimonianze di ragazzi che parlano in maniera serena, con il sorriso sulle labbra, negli occhi la stima per se stessi, la fiducia nel cuore e tanta forza di volontà. Ragazzi che hanno ritrovato la loro dignità e sono ripartiti da lì, determinati a vivere giorno dopo giorno da protagonisti e mai più come delle ombre, esclusi, allontanati, abbandonati ad una dipendenza che, poco a poco, ti toglie tutto a partire dalla tua identità. *Di Sara Pacitto.