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Quattro suicidi in due settimane in Ciociaria, il fallimento del “sistema”: siamo tutti colpevoli – L’editoriale

Il male del secolo di cui nessuno vuole parlare. Intanto, dall'8 al 22 maggio, tre giovani ed un uomo hanno deciso di togliersi la vita

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Dall’8 al 22 maggio in provincia di Frosinone si sono registrati quattro suicidi. Quattro persone che hanno deciso di metter fine alla loro vita in appena due settimane. Un dato che fa rabbrividire. In tre casi si tratta di ragazzi giovanissimi, tra i 22 ed i 34 anni. L’ultimo è un uomo di 57. Uccisi da quel male di vivere che, quasi sempre, la nostra società si ostina a non voler comprendere. Una realtà troppo dura da guardare in faccia, allora meglio voltarsi dall’altra parte. Meglio non vedere e, soprattutto, non ascoltare. Perché l’ascolto, quello attento, invece, ci consentirebbe di cogliere dei piccoli segnali. Quei campanelli d’allarme che restano, il più delle volte, inascoltati. La famiglia, da sola, non può farcela. Genitori, fratelli, sorelle, mogli, mariti, figli e figlie non hanno abbastanza strumenti.

Dovremmo interrogarci tutti. Dovrebbero interrogarsi in primis gli amministratori locali, che sono quelli più prossimi ai cittadini di ogni comune. La scuola, perché spesso i segnali che qualcosa non va arrivano durante l’adolescenza, in altri casi ancor prima. La politica, le istituzioni. Eppure nessuno se ne accorge mai in tempo.

Le malattie mentali: il male del secolo di cui nessuno vuole parlare

Nel corso della vita, secondo gli esperti, quasi la metà degli adulti manifesta i sintomi di una malattia mentale. La più comune è la depressione, tra le prime cause di suicidio. Le malattie mentali coinvolgono un ampio ventaglio di disturbi del pensiero, dell’emotività, e/o del comportamento. Ecco, dovremmo rieducarci, tutti, a comprendere che la malattia mentale e i disagi che ne conseguono sono radicalmente cambiati rispetto ad un decennio fa. In passato, i pazienti affetti da malattie mentali venivano internati in un istituto o negli ospedali psichiatrici. Oggi, fortunatamente, non è più così ma la maggior parte non riceve l’assistenza e il supporto di cui necessita. L’ansia, i disturbi del sonno, quelli dell’umore e della personalità rientrano tra i disturbi che caratterizzano la malattia mentale. Altri disturbi mentali comprendono i disturbi dell’alimentazione, quelli da stress e, appunto, il comportamento suicidario.

Il reale problema della società sta nel fatto che nessuno voglia parlare di quanto, in realtà, il disagio mentale sia più diffuso di quanto non si dica. Le famiglie si ritrovano da sole, senza aiuti, senza supporti. Perché? Perché le istituzioni non hanno fatto abbastanza nell’ultimo decennio per contrastare quella che è a tutti gli effetti un’emergenza sociale. Non si è voluto accettare che la malattia mentale fosse in costante crescita, soprattutto tra giovani e giovanissimi. I CSM delle Asl sono saturi. Non c’è lavoro di equipe, non c’è una rete, sociale e di esperti, dietro a chi vive queste situazioni di disagio e dietro alle famiglie. Nei casi peggiori si finisce ricoverati in un reparto di SPDC. In provincia di Frosinone ne resta uno, a Cassino, saturo anche quello. Una bella dose di psicofarmaci per giorni o settimane e si torna a casa. Da soli. Ad affrontare un percorso tutto in salita.

In altri casi non si viene proprio seguiti. Nessuna consulenza psicologica o psichiatrica, nessuna terapia comportamentale, cognitiva, interpersonale, psicodinamica o di supporto. Quanti nuclei familiari, se non guidati, sono in grado di comprenderne l’importanza per aiutare un loro congiunto? Quanti hanno, da soli, la capacità di comprenderne la necessità? E quanti ne hanno la concreta possibilità economica?

Il suicidio come unica via d’uscita: è il fallimento del “sistema”

Mentre la politica litiga sulle frivolezze, per gettar fumo negli occhi e distogliere l’attenzione dai problemi, i nostri giovani muoiono. E non per tragiche fatalità. Si uccidono. Si lanciano nel vuoto dai balconi di casa, si stringono una corda intorno al collo. Non vedono altra via d’uscita al male che li attanaglia se non la morte.

Alla fine, dopo qualche giorno di shock collettivo, ognuno torna alla “normalità” delle proprie vite. Quelle persone che hanno scelto di morire resteranno numeri che andranno ad implementare orride casistiche. E tutti si crogioleranno raccontandosi che in fondo non avrebbero potuto far nulla per evitarlo. Lo strazio, il fine pena mai, resta quello delle famiglie. Devastate dal senso di colpa e dal dolore. Dietro quei numeri che popolano le casistiche c’erano vite, storie, famiglie, eppure a nessuno sembra davvero interessare finché “non capita a me”. Quattro morti in due settimane non potranno mai essere numeri, erano vite.

Ognuno di quei “numeri”, in realtà, certifica il fallimento del sistema. Dell’intera società. Le politiche sociali inadeguate, i tagli alla sanità ed il quasi totale disinteresse per un problema che sta assumendo contorni sempre più drammatici sono le vere cause che portano i nostri giovani ad uccidersi. Non i disturbi mentali o le dipendenze. Sono l’indifferenza, il non voler guardare, il non voler agire ad istigare al suicidio chi arriva a pensare alla morte come unica soluzione.

La malattia mentale va riconsiderata, affrontata con ogni strumento possibile. I nostri giovani sono sempre più soli, tristi, fragili. È come se un tarlo si insinuasse nelle loro menti rendendole labili, a poco a poco. Alla fine tutto quel ronzio, quella confusione, quelle richieste di aiuto sussurrate e mai ascoltate diventano muri. Impossibili da abbattere se non si è stati capaci di intervenire per tempo. Muri tra i nostri giovani e la loro voglia di continuare a vivere.

Politica ed istituzioni inerti: “istigazione al suicidio”

Serve un impegno sociale ma prima di tutto un impegno da parte della politica e delle istituzioni, ad ogni livello. Occorre prendere atto del fallimento del sistema ed intervenire. Occorre rimodulare il sistema sanitario sotto questo specifico aspetto, in termini di prevenzione, assistenza e cura. Quanto costa al SSN un paziente psichiatrico? Quanto costerebbe invece intervenire prima che cronicizzi?

Occorre istituire uno psicologo di base al quale rivolgersi sin dai primi anni di vita. Come si va dal pediatra e poi dal medico di base, così lo Stato dovrebbe garantire un’assistenza anche sotto il profilo psicologico. Parliamo di una sfera della salute oggi più che mai prioritaria. La politica sul tema ha discusso più volte ma, alla fine, nessuno è arrivato ad una soluzione concreta.

Servono gli psicologi nelle scuole, in modo strutturato, in modo che possano lavorare in equipe con quelli di base. Seguendo i soggetti già individuati come più fragili, più predisposti, con fattori ereditari. Servono investimenti e competenze. Perché qui sono in ballo delle vite.

E poi serve rieducare la società. All’ascolto, all’empatia, alla vicinanza. Non serve domandarsi “perché?” dopo l’ennesimo suicidio. Non serve organizzare fiaccolate, momenti di raccolta, di preghiera per omaggiare chi ha deciso di farla finita. Serve fare tutto il possibile per evitare che ciò accada ancora. Quanto coraggio ci vuole per uccidersi? Forse molto più di quello che basterebbe per decidere di non voltarsi più dall’altra parte.

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