Tutti assolti. Gli imputati del processo in Corte d’Assise d’Appello per l’omicidio di Serena Mollicone sono stati scagionati. Il presidente della Corte Vincenzo Capozza ha letto il verdetto dopo diverse ore di camera di consiglio. I procuratori generali Francesco Piantoni e Deborah Landolfi avevano chiesto la condanna a 24 anni per Franco Mottola, ex comandante della caserma dei Carabinieri di Arce ed a 22 anni per Marco e Anna Maria Mottola, rispettivamente figlio e moglie di Franco. Il Pg aveva chiesto l’assoluzione per Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, i due carabinieri finiti sotto processo perché in servizio presso la caserma dei Carabinieri di Arce il giorno della scomparsa di Serena Mollicone. La sentenza di oggi va a confermare quella della Corte d’Assise di Cassino emessa il 15 luglio del 2022.
L‘omicidio
Serena Mollicone, 18 anni, scompare nel nulla il 1° giugno del 2001. La studentessa, residente ad Arce esce di casa di buon mattino per recarsi presso l’ospedale di Sora per sottoporsi ad un’ortopanoramica. Nel pomeriggio ha appuntamento con il fidanzato Michele Fiorletti per andare dal dentista. Saluta il padre Guglielmo, maestro e titolare di una cartoleria ed esce di casa. Sarà l’ultima volta che l’uomo vede in vita la sua secondogenita. Serena effettua l’esame in ospedale ma poi di lei non si ha più traccia.
Il padre e il fidanzato, insospettiti dal suo silenzio e dal fatto che non si sia né presentata all’appuntamento con il dentista e neanche abbia fatto ritorno a casa, decidono di recarsi alle 20 di venerdì 1° giugno presso la caserma dei carabinieri di Arce e sporgere denuncia. Il corpo della giovane verrà rinvenuto tre giorni dopo, tra i rovi e i rifiuti di una località frequentata da prostitute, lungo le sponde del fiume Liri, a distanza di 20 chilometri da Arce.
Serena ha le mani e i piedi legati con un filo di ferro e un sacchetto della spesa infilato sulla testa e sigillato con il nastro adesivo. L’autopsia accerterà che non ha subito violenza sessuale ma è stata picchiata ed è morta soffocata. Qualcuno le ha fatto sbattere la testa contro una superficie liscia e poi l’ha lasciata morire di asfissia meccanica. Se l’assassino o gli assassini l’avessero soccorsa la giovane sarebbe certamente sopravvissuta.
Inizia così uno dei gialli più intricati della cronaca italiana: nel 2003 viene arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Serena Mollicone, Carmine Belli, carrozziere di Rocca d’Arce e ultima persona ad aver visto Serena in vita la mattina della sua sparizione. Belli, infatti, sabato 2 giugno 2001, dopo aver appreso della scomparsa della diciottenne si reca presso la caserma dei carabinieri di Arce e racconta al maresciallo Franco Mottola di aver visto Serena Mollicone il giorno prima, venerdì 1° giugno, litigare nei pressi del bar Lavalle (poco lontano dal punto in cui è stato ritrovato il corpo ndr) con un ragazzo dai capelli biondi.
“Serena piangeva e l’ho riconosciuta perché è la figlia del maestro Guglielmo” spiegò Belli al carabiniere. La sua dichiarazione non è stata mai verbalizzata e quattro giorni dopo il carrozziere riceverà la visita dei carabinieri che passeranno al setaccio la sua carrozzeria. Nel processo di primo grado emerge l’estraneità Belli dall’intera vicenda e il 6 luglio del 2004 il carrozziere viene assolto con formula piena dalla corte d’Assise del tribunale di Cassino.
La sentenza è stata poi confermata in tutti e tre i gradi di giudizio. L’assassinio di Serena Mollicone sembra rimanere un punto interrogativo fino a quando l’11 aprile del 2008 si toglie la vita il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi. Il sottufficiale era stato chiamato presso la procura di Cassino come persona informata sui fatti. Il nuovo comandante della caserma di Arce, il maresciallo Gaetano Evangelista, raccogliendo le richieste di aiuto di Guglielmo Mollicone, padre mai rassegnato della povera Serena, aveva riaperto le indagini e scoperto importanti elementi che portavano tutti all’interno della caserma dei carabinieri.
Il 28 marzo del 2008 Tuzi viene convocato presso gli uffici giudiziari e clamorosamente dichiara di aver visto Serena Mollicone entrare nella caserma di Arce il 1° giugno del 2001 e di non averla mai più vista uscire. Una dichiarazione che farà da spartiacque a un’indagine giudiziaria considerata nebulosa e avrà inizio un nuovo capitolo con l’iscrizione nel registro degli indagati dei tre componenti della famiglia Mottola: l’ex comandante della caserma di Arce, Franco, il figlio Marco e la moglie Anna Maria.
Sotto processo finiscono anche in luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano. Nel processo di primo grado tutti e cinque gli imputati sono stati assolti. Secondo la corte d’assise di Cassino, infatti, sarebbe mancata la prova regina. La procura della Repubblica di Cassino, nella persona del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo, ha quindi presentato ricorso in appello.