“Non vi è certezza che la barbara uccisione della povera Serena sia avvenuta nella caserma dei Carabinieri di Arce: non è certo che la ragazza sia entrata in quel luogo, non è certo che sia stata scagliata contro la porta, ancora più incerto è che la seconda parte dell’aggressione alla sua persona (quella, letale, dell’imbavagliamento e dell’asfissia) sia avvenuta nella stessa Stazione”.
Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma nelle 51 pagine di sentenza con cui lo scorso 12 luglio hanno confermato le assoluzioni per la famiglia Mottola nel processo sull’omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001. I giudici d’Appello, confermando la sentenza di assoluzione della Corte d’Assise di Cassino, avevano dunque assolto il maresciallo Franco Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco.
“Deve ribadirsi, al riguardo, che le incertezze appena rappresentate sono accentuate dalla mancata prova del movente rivelatosi evanescente”. “Questa Corte ritiene di non avere le prove della colpevolezza degli odierni imputati e sa che una sentenza di colpevolezza sarebbe costruita su fondamenta instabili”. Scrivono ancora i giudici della Corte d’Assise d’Appello.
“Il convincimento del giudice (che non è mai “libero” – come erroneamente a volte si dice – ancorato com’è a rigorosi criteri di valutazione delle prove, di cui deve dar conto con una congrua motivazione)” – scrivono i giudici nelle motivazioni – “non può e non deve fondarsi sui sondaggi o sugli umori popolari. Qui, nelle aule di giustizia, non può albergare la polemica frase (scritta, peraltro, cinquant’anni fa, in un articolo di analisi storico-politica, non giudiziaria) di un noto intellettuale: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi’”.