Con stampato su, a caratteri cubitali, ‘Palma D’Oro per la regia a Cannes 2012’, il messicano Carlos Reygadas mi porge il suo biglietto da visita e strizza maliziosamente l’occhio; mi sfida, io raccolgo l’invito e tremante mi inoltro nelle tenebre, affondo nell’oscurità rilassante e allo stesso tempo inquietante e anelo alla luce che (forse) verrà. Ma questa luce esiste realmente? Ancora non ne sono certa, ma perlomeno il combattimento ludico delle apparenze è stato quanto mai interessante. Sì, perché Post Tenebras Lux è una storia sceneggiata (dallo stesso regista) in caduta libera, una storia che desidera l’impegno di chi la guarda, ma che spesso annaspa in un denso oceano di simbolismi, composizioni pittoriche, incongruenze che alludono ad una certa ricerca della disonestà.
Trama reale o festival del simbolismo?
Juan (Adolfo Jiménez Castro) e famiglia hanno lasciato Città del Messico, si sono trasferiti in campagna, e qui scopriranno un mondo manicheo, diviso tra quei benefici e quelle sofferenze che solo la Natura sa “donare” così potentemente. Nonostante ciò, queste due realtà convivono, senza sapere però se effettivamente si completano o si detestano e lottano tra loro. Il tutto contornato dalla presenza di diavoli rossi in forma caprina con tanto di valigetta degli attrezzi, lampi nel fango, partite di rugby, orge, litigi in famiglia e auto decapitazioni.
La trama del film svolge il ruolo di mero artificio simbolico per rimandare, nel suo complesso, ad un significato più ampio che, sebbene parcellizzato, sembrerebbe voler rappresentare la crisi e il declino valoriale del soggetto contemporaneo. La possibilità della corruzione morale pare essere un tratto definitorio della nostra specie, ed è qualcosa che, una volta che ci colpisce direttamente, appare come una realtà difficile da poter essere accantonata, anche nel tentativo disperato di lasciarsi tutto alle spalle in cerca di una vita migliore. Post Tenebras Lux persegue pertanto la possibilità di una ‘luce dopo l’oscurità’.
Oltre il medium cinema: alla ricerca di nuovi territori estetici
Reygadas spinge il piede sull’acceleratore tra virtuosismi registici e manipolazione massacrante del visivo, incornicia le inquadrature con una scelta inspiegabile ma che a conti fatti pare davvero indovinata: Post Tenebras Lux è infatti girato in un arcaico formato 4:3, con le porzioni laterali del quadro spesso deformate da un effetto prisma. Tra fuori fuoco, doppie immagini, un senso del gusto curioso e accattivante, si innesta però l’horror vacui: assenza dell’esistenza stessa, per un plot quasi dadaista, dai dialoghi scarni e poco curati. La pellicola scorre come un flusso evocativo continuo, diventa evidente che lo scopo non è rappresentare qualcosa, una storia, ma creare delle impressioni alla maniera di Epstein ai primordi del cinema o di Monet nell’ambito della pittura, ecco forse spiegato allora l’utilizzo di particolari lenti che duplicano e distorcono l’immagine ai bordi focalizzando l’attenzione al centro dell’inquadratura. Un’opera che si sviluppa tra variegate suggestioni, senza senso né luogo, fibrillazioni deformate in una prospettica allarmante che poi collassa su se stessa: nella non presenza di altro, nella non presenza di un’altra strada percorribile, implode. Ma lascia il segno. Post Tenebras Lux è dunque un film capace di piegare il cinema alle sue esigenze: Carlos Reygadas si dimostra in grado di proporre un’idea di arte che si pone al di là del consolidato e del tradizionale per cercare di esplorare nuovi territori estetici, sebbene l’operazione sia stata molto criptica per i più. Come ho affermato in apertura non so se è effettivamente possibile illuminare ogni cosa dopo il passaggio nelle tenebre, ma forse si può avere l’illusione che sia così. Un’illusione terribilmente minacciosa.
Dettagli
- Titolo originale: Id.
- Regia: Carlos Reygadas
- Fotografia: Alexis Zabé
- Musiche: /
- Cast: Adolfo Jiménez Castro, Nathalia Acevedo
- Sceneggiatura: Carlos Reygadas