Quanto ‘costa’ un chilogrammo di plastica? Considerando l’intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento, per un chilo di plastica si spendono 19 dollari nei paesi ad alto reddito, mentre in quelli a reddito medio o basso se ne possono arrivare a spendere anche 150 dollari e in alcuni casi addirittura 200, con un costo di 10 volte superiore quello di riferimento. Nonostante siano allo stesso tempo i paesi dove il consumo di plastica è molto ridotto. Sono i risultati dell’ultimo report pubblicato dal Wwf, che si intitola “Who pays for plastic pollution? Enabling global equity in the plastic value chain“, ovvero ‘Chi paga per l’inquinamento da plastica? Promuovere l’equità globale nella catena del valore della plastica’. Il rapporto, sviluppato da Dalberg, va ad analizzare il reale costo della plastica per ambiente, salute ed economia. E lancia l’allarme: “Non possiamo più comportarci come se la plastica sia un bene usa e getta a buon mercato. Ha costi enormi per alcune delle comunità più vulnerabili che non hanno il potere di cambiare il sistema. La mancanza di azione si tradurrà in un costo più elevato per tutti noi”, dice Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia. Per l’associazione che si batte da sempre per l’ambiente, è necessario fare qualcosa e va fatto con il Trattato globale per contrare l’inquinamento da plastica attualmente in discussione (la prossima settimana si terrà il terzo incontro): “È la nostra occasione per cambiare questa situazione“. Le bozze di accordo fin qui discusse, però, non darebbero garanzie sufficienti in questo senso e non prevederebbero le regole globali chiare ed eque che sarebbero invece necessarie.
Wwf: “Cambiare l’attuale sistema”
‘Il nostro modello lineare di estrarre-produrre-utilizzare-buttare, soprattutto quando legato alle materie plastiche, ha un impatto iniquo sui Paesi più vulnerabili e svantaggiati. Oltre a non risolvere la crisi mondiale dell’inquinamento da plastica nel modo più efficiente, l’attuale sistema sposta la maggior parte dei costi su coloro che sono meno attrezzati per sostenerli, senza porre alcuna responsabilità su coloro che maggiormente producono e utilizzano i prodotti in plastica’, ha dichiarato Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia.
Il caso del Kenya
Il problema è che costi così diversi hanno implicazioni sostanziali per i Paesi a basso e medio reddito, come ad esempio il Kenya, dove dal 13 al 19 novembre si terrà il terzo incontro di negoziati per un Trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica. Sei anni fa, il Kenya ha fatto un passo importante contro l’inquinamento da plastica vietando i sacchetti di plastica monouso. Oggi, il Paese continua a dover contrastare le importazioni illegali di sacchetti di plastica monouso, evidenziando la natura transfrontaliera del problema e le disuguaglianze dovute all’attuale catena del valore della plastica, che mettono Paesi come il Kenya in una posizione di svantaggio, indipendentemente dalle azioni propositive che intraprendono.
Regole vincolanti anche per i Paesi forti che producono più plastica
Il Wwf lancia dunque un monito sull’importanza di definire regole globali vincolanti ed eque sulla produzione e sul consumo di plastica, e per promuovere da parte di tutti un impiego più attento in linea con quanto racconta l’organizzazione in questi giorni attraverso la campagna Sustainable Future. ‘Il rapporto sulla plastica segnala l’urgenza di una revisione dell’attuale sistema plastica. Il business-as-usual potrebbe essere una condanna a morte non solo per un numero crescente di specie vittime della plastica, ma anche per molte delle comunità umane, vulnerabili ed emarginate del nostro Pianeta, per un aumento dei rischi sia per la salute, dovuti sia all’esposizione a sostanze chimiche tossiche veicolate dalla plastica, sia per vere e proprie “inondazioni e mareggiate” di rifiuti di plastica. Il Trattato globale per contrare l’inquinamento da plastica è la nostra occasione per cambiare questa situazione, includendo regole globali vincolanti ed eque sulla sua produzione e sul suo consumo’. I costi sproporzionatamente maggiori che i Paesi a basso e medio reddito sostengono sono il risultato diretto di tre disuguaglianze strutturali che rafforzano l’attuale sistema.
I Paesi poveri non hanno voce in capitole sulle materie da produrre
La prima disuguaglianza è che il sistema pone i Paesi a basso e medio reddito in una posizione di svantaggio, in quanto hanno un’influenza minima su quali materiali in plastica vengono prodotti e su come sono progettati, ma spesso ci si aspetta che sappiano gestire questi prodotti una volta raggiunta la fine del loro ciclo di vita. Le considerazioni sulla progettazione di prodotti e sistemi sono in genere fatte più a monte, nei Paesi con una estesa e massiccia produzione di plastica e da aziende multinazionali con sede in Paesi ad alto reddito. I dati fino al 2019 evidenziano come solo il 9% dei rifiuti di plastica vien riciclato. Attualmente, circa il 60% della produzione globale di plastica è destinata a prodotti monouso, che sono progettati per essere gettati via dopo un solo utilizzo.
I costi troppo alti dello smaltimento
La seconda disuguaglianza è che il tasso di produzione di plastica, in particolare per la plastica monouso, sta superando di gran lunga le capacità tecniche e finanziarie di gestione dei rifiuti, quando questi giungono a fine vita nei Paesi a basso e medio reddito. Senza ridurre la produzione e il consumo di plastica, i Paesi a basso e medio reddito continueranno a dover sostenere il peso più elevato degli impatti ambientali e socioeconomici dovuti all’inquinamento da plastica.
Servono regole chiare per tutti oppure il peso ricadrà sui Paesi più deboli
La terza disuguaglianza è che il sistema manca di un modo equo per far sì che i Paesi e le aziende produttrici di plastica siano responsabili delle loro azioni, sull’inquinamento da plastica e sul suo impatto su salute, ambiente ed economia (ad esempio, attraverso regimi obbligatori di responsabilità estesa del produttore in ciascuno dei Paesi in cui operano). In assenza di obblighi comuni in tutte le giurisdizioni e per tutte le aziende, per sostenere un’economia della plastica circolare, giusta e non tossica, i Paesi a basso e medio reddito finiranno sempre per pagarne il prezzo più elevato.
L’istituzione e implementazione di un Trattato globale delle Nazioni Unite sull’inquinamento da plastica basato su regole globali armonizzate e vincolanti può aiutarci a creare un sistema più equo, che dia potere ai Paesi a basso e medio reddito e priorità alle soluzioni più efficaci ed efficienti. Un esempio potrebbe essere la regolamentazione dei prodotti di plastica, dei polimeri e delle sostanze chimiche a più alto rischio – quelli che possono causare i maggiori danni o hanno maggiori probabilità di causare inquinamento – in modo da poter ridurre la pressione sui Paesi, in particolare quelli con meno risorse, nella gestione di questi rifiuti. Allo stesso modo l’opportunità di creare regole globali di progettazione dei prodotti può contribuire a garantire che i prodotti siano progettati per essere riutilizzati e/o riciclati indipendentemente dal paese in cui sono prodotti o utilizzati.
Il wwf invita tutti a firmare
Per dare ai cittadini la possibilità di manifestare il proprio sostegno alla formulazione di un trattato ambizioso ed equo, il Wwf ha diffuso un Global Vote internazionale e invita tutti a firmare. A novembre, i Paesi parteciperanno alla terza delle cinque sessioni negoziali su un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica. Il Wwf chiede a tutti i governi di concordare un trattato che includa: il divieto, l’eliminazione o la graduale riduzione di prodotti, polimeri e sostanze chimiche di plastica ad alto rischio e non necessarie che destano preoccupazione. requisiti globali per la progettazione di prodotti e sistemi in grado di garantire un’economia circolare sicura e non tossica, che dia priorità al riutilizzo e a migliorare le attività di riciclo, misure solide per sostenere un’attuazione ponderata ed efficace che includa un sostegno finanziario sufficiente e l’allineamento di flussi finanziari pubblici e privati, in particolare per i Paesi a basso e medio reddito.
‘Molte delle opzioni incluse nella prima bozza del trattato hanno un linguaggio sostanzialmente più debole e obblighi meno specifici, rendendo allettante per i governi tornare alle vecchie cattive abitudini di fare affidamento su azioni nazionali o volontarie piuttosto che creare regolamenti comuni. Ma il nostro rapporto ha dimostrato che affidarsi alle decisioni dei singoli governi si traduce in un sistema iniquo in cui gli oneri non solo sono distribuiti in modo disuguale, ma sono sostenuti da coloro che sono meno attrezzati per porvi rimedio – ha concluso Eva Alessi-. Scendere a compromessi su un trattato basato principalmente sull’azione nazionale ci riporterà al punto in cui eravamo: divisi e incapaci di arginare l’inquinamento da plastica. Non possiamo più comportarci come se la plastica sia un bene usa e getta a buon mercato. Ha costi enormi per alcune delle comunità più vulnerabili che non hanno il potere di cambiare il sistema. La mancanza di azione si tradurrà in un costo più elevato per tutti noi. I Paesi devono aumentare la propria ambizione e sviluppare un trattato con regole globali armonizzate e vincolanti se vogliamo raggiungere una catena del valore della plastica equa e vogliamo un futuro libero dall’inquinamento da plastica’. – Fonte www.dire.it –