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Più donne e giovani fanno impresa nel mondo della cultura: la nuova frontiera del business

Nel 2022 crescono soprattutto le aziende dell’architettura e design. Male invece l’editoria e la stampa: l'analisi

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Più donne e giovani puntano sulla cultura per fare business, che in Italia cresce grazie soprattutto all’architettura e design (mentre l’editoria e la stampa perdono colpi). Come mostra una analisi di Unioncamere e Centro studi Tagliacarne sul totale delle imprese culturali esistenti in Italia (oltre 275mila), una su quattro (il 24,5%) è una impresa femminile, una su 10 (10,2%) è guidata da giovani di meno di 35 anni di età.

In entrambi i casi il “peso” percentuale di donne e giovani è maggiore rispetto al totale delle aziende italiane, in cui le imprese femminili sono il 22,2% e quelle giovanili l’8,7%. Hanno invece un’incidenza minore, ma comunque non trascurabile, le imprese condotte da stranieri, che costituiscono il 5,6% del totale delle imprese culturali e creative (a fronte del 10,8% complessivo).

Buono il ritmo di crescita delle imprese culturali nel 2022: +1,85% rispetto al 2021. Buono soprattutto quello delle imprese giovanili: +2,84% con quasi 600 imprese in più. Cresce anche la partecipazione degli stranieri (+2,04) mentre inferiore alla media è l’aumento delle imprese femminili (+1,19%).

Forse per l’alto livello di scolarizzazione (la domanda di laureati nelle imprese culturali e creative nel 2022 è pari al 40,6%, a fronte del 15,1% del totale economia) o per l’utilizzo di piattaforme digitali (da quelle musicali a quelle televisive e dell’editoria) l’industria della cultura mostra di essere attrattiva per i giovani e per le donne d’impresa e dà spazio a giovani occupati di 25-44 anni in modo più accentuato rispetto al resto dell’economia”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. “Facciamo in modo che questo universo, che ha una ricaduta importante sull’economia del Paese, continui a crescere e a rafforzarsi”.

Ma in quali ambiti sta crescendo l’industria culturale italiana?

Considerando il totale delle 275mila aziende del settore culturale censite a fine 2022, le imprese di architettura e design e le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico hanno consolidato la dinamica di crescita facendo registrare gli incrementi più significativi (rispettivamente +5,8% e +4,3% rispetto al 2021); crescono anche i comparti videogiochi e software (+2,5%) e comunicazione (+2,0%). Minore è la crescita delle performing arts e arti visive (+0,6%), mentre rimane stabile la numerosità delle imprese che operano nel sotto-settore dell’audiovisivo e musica. L’unico comparto ad aver perso smalto è quello dell’editoria che registra un -2,7% nel 2022 rispetto al 2021 (-7,6% rispetto al 2019).

Tra le imprese culturali, comunque, la parte da leone è giocata dall’architettura e dal design (87.836 integrando anche i liberi professionisti, il 31,9% del totale) e dall’editoria e stampa (62.786, il 22,8%). Anche il segmento della comunicazione racchiude un numero non trascurabile di imprese (42.611, il 15,5%). Il comparto videogiochi e software, invece, conta circa 34mila imprese (il 12,4% del totale), poco più delle performing art e arti visive (circa 31 mila, l’11,2%). Seguono le 15.853 attività dell’audiovisivo e musica (il 5,8%) e, molto ben distanziate, le circa 1.200 imprese che si occupano della gestione del patrimonio storico-artistico, pari allo 0,4% delle imprese culturali italiane.

La maggior parte delle imprese culturali e creative ha sede del Nord-Ovest (il 31,5%) e nel Mezzogiorno (il 25,5%); meno numerose sono, invece, le imprese con sede nelle regioni del Centro (il 23,2%) e in quelle del Nord-Est (il 19,8%). Di fatto, oltre un terzo delleimprese culturali e creative si trova all’interno della Lombardia (dove è localizzato il 21,3% delle imprese totali) e del Lazio (il 12,4% del totale). Questa concentrazione è chiaramente legata alla presenza di grandi agglomerati urbani come Milano e Roma, con le loro numerose attività legate ai servizi avanzati, al patrimonio storico e artistico, agli spettacoli culturali, al turismo. Discorso analogo vale anche per regioni come il Veneto (che segue in terza posizione con l’8,4% delle imprese totali), la Campania (l’8,0%), l’Emilia-Romagna (il 7,6%) e il Piemonte (7,5%) che “sfruttano” il richiamo della cultura e dell’arte esercitato da città come Venezia, Napoli, Bologna e Torino.

È quindi vero che le grandi città fungono da attrattori per le imprese culturali e creative? All’interno dei comuni con più di 500mila abitanti si registrano 7,2 imprese culturali ogni 100 imprese registrate; tale incidenza risulta essere pari a 7,3 nei comuni con un numero di abitanti compreso tra i 250-499 mila e a 5,6 all’interno dei comuni con un numero di abitanti compresi tra 100-299 mila. Ma quando le città di medie dimensioni diventano il centro delle produzioni del Made in Italy, la concentrazione di attività culturali e creative diventa consistente. L’incidenza delle attività culturali nelle città con un numero di abitanti compreso tra 20-59.999 abitanti è del 4,3%, nei comuni con un numero di abitanti compreso tra 60-99.999 è del 4,8%. L’incidenza delle imprese culturali diminuisce gradualmente al ridursi della dimensione dei comuni e raggiunge un peso pari all’1,9% nel caso dei comuni con meno di mille abitanti (dove predominano le attività di architettura e design e quelle legate alla gestione del patrimonio storico artistico) e 2,7% nel caso dei comuni con un numero di abitanti compreso tra i mille e 5mila.

Ad ogni dimensione la propria caratterizzazione. I comuni con meno di mille abitanti, ad esempio, mostrano una forte concentrazione di professioni legate all’architettura, con una percentuale del 29,1%, che supera di 5 punti percentuali l’incidenza media nazionale. I comuni con un numero di abitanti tra 1.000-4.999 primeggiano invece nei comparti dell’editoria e stampa, con il 25,5% delle imprese del settore (a fronte di un dato medio del 22,8%), e nelle performing arts e arti visive, con il 12,2% (11,2% la media nazionale). Più diffuse nei grandi centri sono, invece, le attività di comunicazione (19,7% vs il 15,5% medio nazionale), videogiochi e software (14,4% vs 12,4% medio nazionale) e audiovisivo e musica (8,7 vs 5,8% medio nazionale).

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