Omicidio Willy, Francesco Belleggia ha scelto la verità. Lo ha dichiarato il suo legale, Vito Perugini, in un’intervista ad “Agenzia Nova”. Secondo l’avvocato, il suo assistito, nonostante la paura di eventuali ritorsioni da parte dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi, ha scelto la strada della verità. Ricordiamo che, in primo grado, Belleggia è stato condannato a 23 anni di reclusione per la morte di Willy Monteiro Duarte, 21enne di Paliano massacrato di botte a Colleferro il 6 settembre del 2020. Ai suoi coimputati sono state comminate le seguenti pene: ergastolo ai Bianchi e 21 anni a Mario Pincarelli.
Come riporta sul proprio sito l’Agenzia Nova, secondo il legale, “viene da pensare che, al di là del riconoscimento delle attenuanti, la sua posizione sia stata di fatto ritenuta equivalente a quella dei fratelli Bianchi”. Belleggia, inoltre, è stato l’unico dei quattro ad arrivare al processo dagli arresti domiciliari, gli altri tre, invece, sono tutti detenuti nelle carceri romane, ad eccezione di Marco Bianchi che si trova a Viterbo.
Una misura cautelare meno restrittiva, quella di Belleggia, perché “la sua posizione processuale – ha detto l’avvocato Perugini – era stata ritenuta diversa rispetto a quella degli altri indagati”, questo perché la mattina del 6 settembre 2020, dopo il delitto commesso a Colleferro, il gruppo di Artena si era ritrovato in un bar per accordarsi su una tesi comune da sostenere poco prima di essere individuati dai carabinieri. “Quello sottoposto a Belleggia non era un patto – sostiene Perugini – ma una vera e propria intimazione. Avevo capito che Francesco temesse la reazione dei fratelli Bianchi nel venir meno ‘all’ordine di scuderia’, ma gli ho consigliato di scegliere tra la paura per i Bianchi e la verità. Ha quindi fornito una collaborazione che ha permesso alla procura di acquisire informazioni importanti per la ricostruzione dei fatti”, evitandogli così la galera e consentendogli di affrontare il processo da una posizione meno pesante rispetto agli altri tre imputati.
Nella sua intervista ad Agenzia Nova, Perugini prosegue asserendo che: “I Bianchi non sono stati chiamati” davanti al locale Due di Picche dove erano scoppiata la lite e dove, poi, Willy è stato pestato e ucciso “né da Pincarelli, tantomeno da Belleggia. Gabriele lo dice chiaramente ‘A me interessava Michele Cerquozzi’ perché temeva per il suo fisico esile. Inoltre 22 testimoni dicono di riconoscere Belleggia per via del braccio ingessato (dovuto a un trauma riportato per un incidente con il motorino, ndr) ma nessuno dice che sia stato lui ad avvicinarsi ai Bianchi, bensì il contrario. Tutti dicono che il mio assistito non ha colpito Willy, con qualche rara eccezione. Samuele Cenciarelli per esempio, che sostiene fossero cinque i picchiatori, tra cui anche Belleggia. Ma lo dice dopo aver ricevuto un colpo alla mandibola da Gabriele Bianchi. Sfido chiunque – dice ancora Perugini – a rimanere lucido in quella situazione”.
L’altro è Vittorio Tondinelli, l’amico dei Bianchi, “che osserva la scena a 20, o forse 25 metri di distanza dal luogo dell’aggressione – ricostruisce ancora Perugini -. Lui stesso ammette le scarse condizioni di visibilità tanto che non riesce a distinguere chi, tra Marco e Gabriele sferra il calcio a Willy, ma vede con certezza che lo fa Belleggia, quando altri testimoni, anche a pochi metri di distanza, sostengono di non aver visto quel calcio”.
“Lo dice chiaramente Shabani – aggiunge Perugini – intercettato nella caserma dei carabinieri a Colleferro: ‘Sanno tutto’. Lo dice riferendosi ai carabinieri e aggiunge: ‘E sanno che ci siamo messi d’accordo’, e o dice perché qualche sera prima si erano incontrati tutti e tre in un ristorante di Velletri per concordare una versione unica”. In attesa della motivazione della sentenza che darà via libera ai ricorsi in appello, Belleggia resta agli arresti domiciliari e ai suoi studi. “Ha dato quattro esami in ingegneria”, osserva l’avvocato. Dopo la sentenza “in un primo momento ha pianto. Credeva di avere una posizione diversa rispetto a quella degli altri imputati se non addirittura che venisse riconosciuta la sua estraneità. Adesso, però, ci prepariamo ad affrontare l’appello”.