Omicidio Mollicone 2.0: con la consegna del ricorso avverso alla sentenza della Corte d’Assise, questa mattina è ufficialmente iniziata la seconda fase del processo per dare un nome e un volto agli assassini della studentessa di Arce.
La Procura di Cassino, nella persona del sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo e le Parti Civili (gli avvocati Sandro Salera ed Antony Iafrate per Consuelo Mollicone, Dario De Santis per Antonio Mollicone, Federica Nardoni per Armida Mollicone ed Elisa Castellucci per la famiglia Tuzi) hanno consegnano a mano, presso la cancellaria del tribunale, il ricorso avverso alla sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise del tribunale di Cassino.
Lo scorso 15 luglio, infatti, il presidente Massimo Capurso, il giudice a latera Maria Vittoria Sodani e la giuria popolare, avevano decretato l’assoluzione per i cinque imputati: l’ex comandante della caserma dei Carabinieri di Arce, Franco Mottola, per la moglie Anna Maria e per il figlio Marco. Tutti e tre chiamati a rispondere del reato di ‘omicidio volontario ed occultamento di cadavere’. Sotto processo anche l’ex vice comandante della caserma di Arce, il luogotenente Vincenzo Quatrale accusato di ‘concorso esterno morale in omicidio’ e l’appuntato dei Carabinieri, Francesco Suprano accusato di ‘favoreggiamento’.
Le motivazioni della sentenza, rese note lo scorso 6 febbraio, spiegano che “gli esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in corso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata – scrive la corte d’assise -. Numerosi elementi indiziari, costituenti tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del pubblico ministero, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio”.
Neanche la testimonianza di Santino Tuzi, che a sette anni dalla morte di Serena, decide di rompere il silenzio e di riferire di aver visto la ragazza entrare nella caserma di Arce la mattina del 1 giugno 2001, viene ritenuta credibile perché “entrambe le versioni offerte da Tuzi sono in ogni caso apparse anche alla luce delle registrazioni effettuate, contraddittorie, incerte, confuse e mutevoli, frutto di suggestioni, ricostruzioni dal medesimo effettuate sul momento, alla luce degli elementi che venivano via via offerti. In termini logici non convince, inoltre, il fatto che il medesimo non abbia alcun modo spiegato i motivi per cui avrebbe serbato il silenzio per sette anni in ordine a una circostanza così importante”. Motivazioni queste sono state attentamente vagliate dalla procura di Cassino che in questi 45 giorni ha ritenuto di dover controbattere punto per punto alla sentenza di assoluzione.