Le Alpi sono nuovamente imbiancate e tra gli appassionati esplode la voglia di fare attività in neve fresca. Ma nei giorni immediatamente successivi ad abbondanti nevicate è necessario prestare la massima attenzione nel valutare attentamente la neve, la sua evoluzione in funzione del meteo e il terreno su cui si vuole effettuare l’escursione, sia in fase di pianificazione che durante lo svolgimento dell’uscita. Pur sapendo di non poter essere esaustive, le Guide alpine Italiane invitano a consultare i bollettini valanghe emessi dai previsori ed evidenziano qui di seguito alcuni segnali di pericolo da tenere presente, con alcuni spunti di riflessione, oltre a un piccolo test, per aiutare ad affrontare la neve con maggior consapevolezza ed una sana curiosità.
Le valanghe a lastroni
Le valanghe “a lastroni” sono tra le più pericolose, statisticamente sono responsabili di oltre il 90% delle vittime da valanga. Avvengono quando uno strato compatto di neve (il “lastrone”) collassa sopra uno strato più debole e scivola a valle. La frattura iniziale, che può essere spontanea oppure provocata, spesso anche dal passaggio di una sola persona, si propaga velocemente provocando il distacco di tutto il lastrone con un fronte anche molto esteso.
L’inclinazione del pendio
“I classici fattori da considerare per la mitigazione del rischio in montagna – spiega Davide Spini, Istruttore Guida alpina – sono le condizioni nivo-metereologiche, il terreno e il fattore umano. Di questi tre, il terreno è sicuramente quello meno “indecifrabile” e più affidabile da valutare in caso d’incertezza o di pericolo elevato. Al contrario la neve e le persone a volte sono variabili, nel tempo, nello spazio…e nell’umore”.
“Le valanghe a lastroni avvengono generalmente su inclinazioni dai 30 ai 45 gradi – continua Spini – e l’inclinazione del pendio è sicuramente uno dei fattori scatenanti di una valanga, ma fortunatamente è anche quello più facile da quantificare. Chi va in neve fresca (con sci, ciaspole, o altro) deve quindi saper valutare questo fondamentale fattore, sia fase di pianificazione, che poi sul singolo pendio. È quindi importante fare questa valutazione mentre si progetta, o si sogna, la propria uscita. In questo la tecnologia ci viene in aiuto: da qualche anno, esistono applicazioni che ci consentono di valutare, con discreta affidabilità, l’inclinazione dei pendii già in fase di pianificazione. Sul terreno, stimare la pendenza non è facile, perché a volte le prospettive ingannano, ma con un po’ di pratica ed esercizi guidati si può imparare a distinguere quello che può essere potenzialmente pericoloso, da quello che non lo è”.
“Molto utile per questo scopo può essere, tra le altre, l’applicazione “Fat Map” (disponibile anche offline e in questo caso a pagamento), che aiuta sia in fase di pianificazione, grazie al layer con le classi di inclinazione dei pendii, sia sul terreno, grazie alla visione 3D dell’ambiente e alla funzione di geo-localizzazione. Una volta pianificato il percorso con questi strumenti, insieme alle informazioni nivo-meterologiche, andremo a rivalutare il rischio direttamente sul terreno per capire se il pendio è accettabile da percorrere o meno, cercando di bilanciare la stabilità del manto nevoso all’inclinazione del pendio e alle conseguenze di una possibile valanga”.
Segnali di pericolo
È importante saper cogliere i segnali di instabilità quando ci troviamo in ambiente: con un po’ di formazione possiamo, infatti, ottenere informazioni estremamente importanti con cui andare a verificare e integrare quelle presenti nel bollettino valanghe. “Come prima cosa bisogna semplicemente guardarsi attorno e osservare la presenza di eventuali distacchi recenti: la natura a volte ci avverte in maniera chiara di eventuali pericoli – spiega Spini -. È un segnale evidente che anche un principiante con poca formazione qualificata può riuscire a cogliere, eppure a volte sembra essere “sottostimato” anche dagli esperti. È importante poi rendersi conto che una cattiva visibilità non permette di osservare questo, ed altri, importanti segnali di pericolo. Quando la visibilità non è buona, è necessario essere ancora più attenti, stare lontano da pendii ripidi e prediligere escursioni più semplici, possibilmente all’interno del bosco, tenendo in mente che l’arrivo dei soccorsi sarà decisamente più lento e difficoltoso. In queste condizioni anche un piccolo infortunio può trasformarsi una lunga e fredda Odissea”.
Un altro importante segnale di instabilità è il cosiddetto “Vuum” (detto anche “wumpf” o “whoom“) il rumore di assestamento. Quando si sente questo suono, percorrendo un pendio, anche se poco inclinato, significa che il lastrone ha fatto collassare lo strato debole sottostante, il rumore è prodotto dalla fuoriuscita dell’aria. “In pratica abbiamo provocato una valanga – avverte Davide Spini – se poi non c’è scorrimento, magari è solo perché in quel punto l’inclinazione è inferiore ai 30°. Il vuum lo sente chi apre la traccia. Chi sta dietro, per provare a valutare il manto nevoso, può eventualmente spostarsi dalla traccia di qualche metro (se non siamo su un pendio critico) e ascoltare cosa accade nell’affondamento dello sci: se lo sci affonda poco e gradualmente si “appoggia” a qualcosa via via più compatto in generale è un buon segnale. Se, invece, quando viene dato peso allo sci, questo sprofonda come se ci fosse del vuoto sotto, è un segnale negativo”.
Cornici
Le cornici sono strutture strapiombanti che si formano per l’azione del vento sulle creste delle montagne. Abbondanti nevicate, accompagnate all’azione eolica, portano alla formazione di grosse cornici particolarmente instabili perché costituite, e cariche, di neve soffice e poco coesa. “Si formano sul lato sottovento di una cresta, e sono difficili da vedere o intuire, per chi sale la montagna dai versanti sopravento, quelli “erosi”, da cui spira il vento – spiega Spini – . Sono inoltre un pericolo oggettivo: dobbiamo evitare di passarci sotto o, se siamo obbligati a farlo, limitare il tempo di esposizione e il numero di persone esposte, in particolare se le temperature sono miti come quelle previste per la settimana corrente perché ne facilitano il distacco, anche spontaneo. Se siamo in cresta e ci sono cornici, in generale l’indicazione è di rimanere lontani dalla loro estremità; la presenza di rocce ci aiuta a capire i limiti “solidi” di una cresta. Teniamo inoltre presente che il crollo di una cornice, come quello di un seracco, in condizioni d’instabilità, potrebbe provocare il distacco di una valanga, non a caso, in talune condizioni, il taglio di una cornice è anche usato anche come test di stabilità”.
Test del manto nevoso
Ci sono diverse tecniche per testare la stabilità di un manto nevoso, ma una prova molto veloce e abbastanza utile per cercare di capire che manto nevoso abbiamo sotto i piedi è il test del bastoncino. “Non è un test molto accurato – spiega la Guida alpina Davide Spini – ma probabilmente è il più usato in ambito sportivo, funziona abbastanza bene e può essere fatto diverse volte sul percorso perché molto veloce. Bisogna spingere il bastoncino (dalla parte dell’impugnatura) in profondità nel manto nevoso: se i primi strati sono soffici e la base è compatta e densa è un buon segnale. Se spingendo il bastoncino, invece, noto che rallenta, diventa duro e poi percepisco “del vuoto”, è un segnale di pericolo: potrebbero esserci le condizioni per una valanga a lastroni”.
Le Guide alpine insegnano a pianificare e a condurre un’escursione in ambiente innevato, analizzando le variabili nivometeorologiche, il terreno e il fattore umano nelle diverse fasi. Sul campo, in particolare, spiegano come analizzare il manto nevoso, come cogliere i segnali di pericolo e come valutare e mitigare il rischio di esser travolti da una valanga. L’apprendimento guidato di queste conoscenze, unitamente alla lettura e gestione del terreno, nonché alla movimentazione del gruppo, permette di acquisire competenze preziose per imparare a muoversi autonomamente in neve fresca. – Fonte Agenzia Dire www.dire.it –