Tutti parlano di marketing, e tra questi mille discorsi emerge un termine tanto curioso quanto inquietante: murketing. Questa parola, unione di “murky” (oscuro, nebuloso) e “marketing”, descrive pratiche che si annidano nelle pieghe più ambigue della comunicazione pubblicitaria. Il murketing, infatti, consiste in tecniche di marketing deliberatamente opache, concepite per sviare il consumatore, fornendo informazioni incomplete o addirittura distorte, con l’obiettivo di camuffare la vera natura di un prodotto o servizio.
Parliamo, dunque, di un marketing che si muove nell’ombra, ben lontano dai principi di trasparenza e correttezza. Non è più il prodotto al centro della scena, bensì la narrazione confusa che lo avvolge, rendendo difficile per il consumatore distinguere tra realtà e finzione. Un terreno decisamente scivoloso, in cui il confine tra promozione e inganno è labile, e dove l’etica, spesso, resta in secondo piano.
Quando il marketing diventa manipolazione
Il murketing sfrutta in modo sottile le zone grigie della comunicazione, aggirando il dovere di fornire informazioni chiare e oneste. Non è la semplice intenzione di vendere a essere messa in discussione, ma il metodo con cui lo si fa. L’obiettivo è creare una percezione distorta nel consumatore, che si trova a prendere decisioni basate su informazioni parziali o manipolate. Questo tipo di pratiche, per quanto comuni, solleva interrogativi sulla liceità e sull’etica di certe strategie commerciali.
Un esempio lampante è quello delle campagne pubblicitarie dei profumi: ambientazioni sofisticate, scene evocative, narrazioni oniriche. Ma cosa dicono effettivamente questi spot sul prodotto? Quasi nulla. Tutto gioca sull’emotività e sull’immaginario, lasciando in secondo piano le caratteristiche effettive del profumo. È una strategia accettabile per un bene di lusso? Forse sì. Ma quando questa stessa opacità si sposta su prodotti essenziali come i farmaci o i servizi finanziari, il discorso cambia radicalmente.
Un altro caso è quello del gaming, dove molti portali rendono avvincenti percorsi di sottoscrizione a piattaforme di gioco tramite dei funnel studiati ad hoc per indurre l’utente all’iscrizione senza esporre in chiaro i rischi specifici. Alcuni portali, di contro, pongono in evidenza vere e proprie macro-sezioni utili a inquadrare i fenomeni clinici e patologici dell’ambito del gioco online, come questa sezione osservatorio, pratica particolarmente apprezzata sia sotto un profilo informativo e comunicativo che meramente etico.
Tra illusioni e inganni: dove tracciare il confine?
Le pratiche di murketing spesso sfociano nell’ambito dell’inganno, specie quando si tratta di promozioni che, apparentemente vantaggiose, nascondono in realtà rialzi di prezzo precedenti agli sconti. Si tratta di offerte che non sono tali, e che giocano con la percezione del consumatore, facendogli credere di ottenere un affare quando, in realtà, pagano di più o comunque non ottengono alcun reale beneficio.
Ancora più subdole sono le tecniche di product placement: inserire prodotti in film, serie TV o video senza dichiararne la natura pubblicitaria. Un esempio classico è quello del protagonista che sorseggia una bevanda ben visibile, lasciando che il brand entri inconsciamente nella mente dello spettatore. È davvero meno invasivo di una pubblicità tradizionale o è solo un modo più subdolo per influenzare il pubblico senza che se ne accorga?
Il marketing opaco degli influencer
Nel mondo digitale, il murketing trova un terreno fertile nelle collaborazioni tra brand e influencer. Molti di questi, infatti, promuovono prodotti senza specificare chiaramente che si tratta di sponsorizzazioni. Pubblicare una foto con un capo di abbigliamento o un prodotto senza dichiarare di essere pagati per farlo, inganna l’utente, facendogli credere che quella raccomandazione sia spontanea e genuina. Qui, la linea tra pubblicità e opinione personale diventa quasi impercettibile, creando un circolo vizioso di manipolazione.
Un esempio lampante è quello delle campagne pubblicitarie dei profumi: ambientazioni sofisticate, scene evocative, narrazioni oniriche. Ma cosa dicono effettivamente questi spot sul prodotto? Quasi nulla. Tutto gioca sull’emotività e sull’immaginario, lasciando in secondo piano le caratteristiche effettive del profumo. È una strategia accettabile per un bene di lusso? Forse sì. Ma quando questa stessa opacità si sposta su prodotti essenziali come i farmaci o i servizi finanziari, il discorso cambia radicalmente.
Un altro caso è quello del gaming, dove molti portali rendono avvincenti percorsi di sottoscrizione a piattaforme di gioco tramite dei funnel studiati ad hoc per indurre l’utente all’iscrizione senza esporre in chiaro i rischi specifici. Alcuni portali, di contro, pongono in evidenza vere e proprie macro-sezioni utili a inquadrare i fenomeni clinici e patologici dell’ambito del gioco online, come questa sezione osservatorio, pratica particolarmente apprezzata sia sotto un profilo informativo e comunicativo che meramente etico.
Marketing etico: una chimera o una realtà possibile?
In ambiti professionali più delicati, come la psicologia e il benessere fisico, il tema del marketing etico assume una valenza ancora più cruciale. Slogan come “Dimagrisci 7 chili in 7 giorni” o “Scopri come manipolare gli altri” non solo sono fuorvianti, ma mettono seriamente in discussione l’integrità professionale di chi li usa. Promettere soluzioni irrealistiche o risultati che non possono essere garantiti viola non solo il buon senso, ma anche i principi deontologici. Per chi opera in settori come questo, la promozione dei servizi deve essere ancorata a una comunicazione onesta e rispettosa delle aspettative e del benessere del cliente. Il rispetto del paziente e la trasparenza dovrebbero essere alla base di ogni azione promozionale, in un equilibrio tra efficacia comunicativa e correttezza morale.
Conclusioni: un’ombra lunga sull’etica del marketing
Il murketing è il lato oscuro del marketing moderno. È un approccio che, purtroppo, è diventato sempre più comune in una società dove l’apparenza conta spesso più della sostanza. La sfida, oggi, è riconoscere questi meccanismi manipolativi e, soprattutto, scegliere consapevolmente se e come adottarli. Perché, in definitiva, non è il marketing ad essere intrinsecamente sbagliato. È l’uso che ne facciamo a decidere se le nostre strategie sono etiche o meno. – Fonte Agenzia Dire www.dire.it –