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Miami Blues, ecco lo scoppiettante noir di Charles Willeford che ha ispirato Tarantino

La recensione del libro da cui è stato tratto un film omonimo, diretto da George Armitage, con Alec Baldwin e Jennifer Jason Leigh

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Dopo una giornataccia passata a lavorare su un quadruplo omicidio, il detective Hoke Moseley, cronicamente depresso, sempre squattrinato e fuori dagli schemi, finalmente si gode il suo meritato riposo in una piccola stanza dell’anonimo El Dorado Hotel di Miami, cullato da un bicchiere di brandy. Quando sente bussare alla porta, distratto e con la guardia abbassata, non esita ad aprire. Il giorno dopo si ritrova all’ospedale, notevolmente ammaccato e con la mandibola serrata. Ripensa ai casi degli ultimi dieci anni e si chiede chi vorrebbe picchiarlo fino a fargli perdere i sensi, rubargli la pistola e il distintivo e, dettaglio ancora più inquietante, scappare con la sua dentiera. I primi indizi, però, non sembrano portare verso una vendetta, qualcosa di imponderabile sembra invece collegare l’episodio a una giovanissima escort, al suo fidanzato e a un bizzarro omicidio di un Hare Krishna.

‘Miami Blues’ è un libro dello scrittore statunitense Charles Willeford, pubblicato per la prima volta nel 1984. Nel 1990 ne è stato tratto un film omonimo, diretto da George Armitage, con Alec Baldwin e Jennifer Jason Leigh. Il romanzo è stato fonte di ispirazione per il geniale regista Quentin Tarantino, il quale si è detto molto influenzato dalla scrittura di Willeford, riscontrabile soprattutto nel capolavoro ‘Pulp Fiction’.

Noir dal freddo realismo

Freddy Frenger Junior è un pluriomicida, un ladro, un pazzo che non appena esce di prigione si adopera a seminare il panico per le strade di Miami. Hoke Moseley è un detective squattrinato ma dal fiuto raro. E poi c’è Susan ‘Pepper’, studentessa e squillo part-time, la quale instaurerà una contorta e bizzarra storia d’amore con il primo. Sullo sfondo, una Miami giano bifronte, seducente e feroce allo stesso tempo. Questi gli ingredienti di ‘Miami Blues’, classico della letteratura pulp americana di Charles Willefrod. Un noir estremamente realista, che affascina proprio con i suoi personaggi dalla vita difficile, che fanno breccia tra le pagine del libro. Un romanzo in cui non esiste nessun buono-buono, perché anche i buoni hanno i loro segreti, lati più torbidi. Per ogni luce c’è un’ombra, proprio come nella realtà.

Atipico e scoppiettante

Sfogliando ‘Miami Blues’ ci si rende presto conto di essere di fronte ad un noir atipico e dalle insolite particolarità. Tutto si muove intorno ad un’idea narrativa in cui le intenzioni, sebbene appena accennate, di autore e protagonista, sembrano confondersi. Il fil rouge dei personaggi che vivono e si muovono sotto le palme dell’afosa Florida è un cadavere: così il presunto assassino, la sua donna e il detective possono incontrarsi. Pertanto, a dispetto di altri polizieschi, fin dalla prima pagina viene rivelato chi sia l’assassino. E non è il maggiordomo. Non c’è l’effetto sorpresa nel finale. Anche la stessa atmosfera in cui la storia prende vita è lontana dai classici noir in cui il detective tenebroso cammina sotto la pioggia o tra vicoli bui. Hoke non ha certo il fascino del Marlowe di Chandler, è piuttosto un divorziato innamorato della bottiglia che si dimena sotto il caldo opprimente e il sole battente. Il suo orgoglio virile è quella dentiera che gli sarà sottratta assieme a distintivo, pistola e manganello. Il tutto raccontato con piglio e ritmo scoppiettante!

Caos, violenza e guizzi di umorismo

“Hoke era incuriosito da quella coppia bizzarra, soprattutto dal tipo, poteva scoprire qualcosa di interessante sul fidanzato. Se quei due erano studenti universitari di dottrine economiche, lui e Henderson avrebbero potuto benissimo iscriversi a un corso di laurea in Teologia.”

Miami Blues è un poliziesco imperdibile per gli amanti del genere, dalla scrittura accattivante, con qualche guizzo di humor, e con il suo personaggio principale, Hoke, che goffamente arranca nella vita ma che riesce a farsi amare da noi lettori. Con la sua scrittura diretta, minimale, asciutta e estremamente realista, Willeford riesce a trasportare il lettore in quegli anni e i quei luoghi, in giro tra Miami Beach e Baia di Biscayne ad ascoltare le storie dei marielitos di Cuba. L’autore descrive una realtà umana ‘diversa’, movimentata, instabile, sovraffollata, perennemente a rischio caduta nel caos per il numero di raptus criminali. Sotto la cappa del caldo asfissiante, l’umanità si muove per vivere meno prigioniera, per mangiare, bere, accaparrarsi un posto auto. Tutta la violenza, il noir, la crudeltà vengono sfumate attraverso il filtro di un umorismo pulp che lo cristallizza nella letteratura di genere. Miami Blues scorre liscio – come il brandy di Hoke -, si legge voracemente.

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