M5S Frosinone, l’ex deputato Luca Frusone: “Non credo che potrà nascere un Movimento 2.0”

Mentre Conte avvia l'assemblea costituente e Grillo batte i pugni, parliamo con uno dei ragazzi che nel 2018 fecero irruzione in Parlamento

L’Assemblea Costituente di metà ottobre voluta dall’ex premier Giuseppe Conte sarà il momento della verità nella “guerra interna” con il fondatore Beppe Grillo. Si corre il rischio di una scissione. Ma intanto quel che resta dell’M5S sui territori, dopo il declino elettorale compreso tra il 32% delle politiche del 2018 ed il 9,9% delle ultime elezioni europee, si interroga sull’utilità e, soprattutto, sulle prospettive residue della creatura politica nata nel 2009 come libera associazione di cittadini e composta dai cosiddetti “attivisti 5 stelle”. A riflettere sono soprattutto i ragazzi che, sei anni fa, si trovarono improvvisamente proiettati in una dimensione nazionale e che cercarono di apprendere a tappe forzate – sui banchi di Montecitorio e Palazzo Madama ma anche della Pisana e delle altre regioni italiane – cosa voleva dire rappresentare il popolo e farlo, oltretutto, per smontare l’inossidabile e incancrenito sistema di potere, aspirando al contempo alla svolta della democrazia diretta. L’alatrense Luca Frusone, classe 1985, è uno di questi. Nel momento di massimo successo del Movimento fu deputato proclamato il 19 marzo 2018, confermato il 16 luglio 2020, per concludere definitivamente la sua carriera da parlamentare il 12 ottobre 2022.

  • Quella tra Conte e Grillo sembra una sfida da tutto o niente. Su quale opzione scommette?

“Penso solo che quando i partiti parlano dei problemi interni non si occupano dei problemi della gente. Non so l’assemblea costituente a cosa porterà. Ma di sicuro fa sorridere ascoltare colleghi che, fino a qualche tempo fa si scagliavano contro qualche espulso o qualcuno che lasciava il movimento, dandogli del ‘poltronaio’ e si impegnavano nelle critiche, e che oggi stanno lì tutti a spingere per superare il limite dei due mandati ed a dire che è sbagliato gettare via l’esperienza accumulata in Parlamento. Quando, prima di loro, qualcuno diceva qualcosa del genere, veniva attaccato senza sconti”.

«Senza limite dei due mandati rimane un partito come gli altri»

  • Ma lei la regola dei due mandati l’ha comunque rispettata.

“Certo che sì. L’ho sempre detto e ribadisco che è giusta. Può essere ritoccata, definendo esattamente cosa significhi un mandato. Nel senso che, magari, un anno di attività parlamentare viene contato come un mandato intero e non penso sia corretto. Va stabilito se il limite di ciascun mandato siano 3 anni pieni o 4 anni, insomma. Ma va detto chiaramente che la regola dei due mandati è l’unica cosa che differenzia il Movimento dagli altri partiti. E’ un aspetto che si lega alla scelta della democrazia diretta. Ecco perché il portavoce non doveva avere chissà quale esperienza ma doveva, letteralmente, “portare la voce della base”: non doveva essere un politico di professione. La prospettiva della democrazia diretta oggi non c’è più e le liste vengono decise da leader. Esattamente come avviene nelle segreterie politiche degli altri. Il Movimento non ha più spunti netti di distinzione. Potrebbero arrivare ad un accordo Grillo e Conte per definire cosa fare. Ma l’essenza del Movimento è cambiata. Superando i due mandati, poi, si trasformerebbe l’M5S in uno dei partiti che ci sono già. Non ci sarebbe più nulla a farlo differenziare. Finirebbe l’impegno preso coi cittadini ad un ricambio della classe dirigente”.

  • Lei è un ragazzo di Alatri che si è trovato improvvisamente ad avere a che fare, anche in sedi internazionali, con questioni attinenti la difesa, gli interessi dello stato italiano, la sicurezza internazionale, la Nato. Non sarebbe stato possibile senza M5S.

“Oggi ho 39 anni e porto con me quell’esperienza, venni eletto a 27. La forza del Movimento era questa. Proiettare delle persone normali nelle posizioni di responsabilità. Certo, le modalità di scelta potevano essere migliorate. C’è sempre l’auspicio che in Parlamento vadano eletti migliori e più preparati di quelli che vi si trovano. Ma resta la sensazione di amarezza e non tanto per l’esperienza del Movimento 5 Stelle quanto per il sistema che abbiamo trovato”.

  • A cosa si riferisce in particolare?

“L’Italia è un Paese difficile da cambiare perché non solo ci sono tante carte ed un’enorme burocrazia ma perché manca un sistema Paese. Quel che mi dava dispiacere quando andavo in determinati contesti era constatare che come Paese eravamo deboli, e lo siamo tutt’oggi, non tanto per dei diktat esterni ma perché, quando andiamo a determinati tavoli, non facciamo i compiti a casa, non studiamo i dossier, non abbiamo le richieste giuste da mettere sul tappeto. Del resto, lo ribadisco, con un sistema Paese che non funziona la tua voce vale inevitabilmente meno di quella degli altri. Insomma noi dovremmo farci valere di più ma, principalmente, è l’Italia che deve puntare a valere di più. Ci sono paesi come la Francia che, a quei tavoli a cui mi riferivo, si fanno trovare preparati e arrivano con posizioni di forza, portando a casa i risultati. Noi a volte manco ci mandiamo nostri rappresentanti a quei tavoli, oppure non di rado mandiamo degli inviati inadeguati ed incompetenti”.

«In provincia l’autogestione dei gruppi territoriali ha funzionato»

  • Veniamo all’esiguo radicamento dell’M5S in provincia di Frosinone, non si sente corresponsabile per la mancata creazione di una rete solida di gruppi di attivisti?

“In realtà per come eravamo partiti fino al 2018, nella prima legislatura, avevamo tanti gruppi territoriali, c’era una bella rete, eleggemmo vari consiglieri comunali. Tutto questo in autogestione. Io insieme a vari attivisti avevamo creato una rete provinciale, senza nessuna supervisione nazionale o regionale. I risultati c’erano. Non gli stessi della rete di un partito che ha lustri di vita alle spalle beninteso, ma, ripeto, i risultati c’erano. Dopo questa attività iniziale sarebbe dovuta subentrare una supervisione regionale e nazionale. Ma sono mancate e mancano anche oggi. Poi la spinta del volontariato è venuta meno a seguito degli alti e bassi elettorali. Ma, ripeto, in provincia di Frosinone l’organizzazione che c’era, creata dalle persone del posto, senza venire prefabbricata dall’alto, funzionava di più rispetto ad altri territori d’Italia”.

  • Conte ha annunciato l’assemblea costituente come un percorso di “democrazia partecipativa e deliberativa”: lei crede nel rilancio e nella rifondazione?

“No. Perché se diventa il partito di Conte il Movimento si trasforma in uno dei partiti. Quanto a Grillo non avrà la forza di ricostruire il Movimento. Non credo che possa nascere un M5S 2.0. E’ una constatazione amara anche e soprattutto perché prima di rivedere un’esperienza del genere, che mette il cittadino al centro, passerà molto tempo. I dati sull’astensionismo segnalano un riallontanamento dalla politica. L’M5S aveva invece riassorbito in parte il “non voto” grazie alla promozione delle dinamiche di partecipazione che il Movimento voleva creare. Quando vengono meno dinamiche di partecipazione anche il cittadino comune torna a sentirsi lontano dalla poltica e non va più alle urne. L’unico modo per combattere l’astensionismo è avvicinare la gente e dirgli che può incidere in qualche maniera. Ma se tu, come partito, ti ricordi dell’elettore ogni 5 anni, allora ti ritrovi con persone che hanno perso l’interesse”.

«L’esperienza parlamentare rimane in un pezzo di professione»

  • Il suo bilancio personale?

“Non rinnego nulla di quanto fatto, anzi è stata un’eserienza innovativa anche se non è facile far andare avanti di pari passo l’esigenza di governare e quella della partecipazione. Oggi dal punto di vista politico seguo le vicende nazionali e spesso anche locali e intrattengo rapporti anche a livello nazionale, ma non sono più attivista perché ho giustamente dovuto pensare a me ed a quello che dovevo fare. Ora mi occupo, nell’ambito di Federsicurezza, di un’azienda di software, consulenza e rapporti istituzionali e internazonali per conto di realtà dei settori difesa e sicurezza”.

  • La vita parlamentare insomma le ha lasciato tracce profonde nella professione.

“I due mandati, se uno li sfrutta lavorando e imparando, possono diventare un investimento anche per la propria crescita personale e professionale. Le faccio un esempio che riguarda ricadute sul nostro territorio. Ho curato le pratiche per un’azienda che verrà ad investire a Fontana Liri, facendole ottenere un finanziamento importante. Parliamo di un privato che, grazie anche al mio impegno, avvierà una produzione nello stabilimento propellenti”.

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Stefano Di Scanno
Stefano Di Scanno
Giornalista Professionista

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