Un uomo del Cassinate era stato licenziato da un’azienda automobilistica nel lontano 2018 per aver insultato e spintonato durante l’orario di lavoro una collega rea, a suo dire, di aver intrapreso una relazione sentimentale con il compagno della figlia. Il datore di lavoro aveva quindi optato per il licenziamento del sessantenne in quanto i ripetuti insulti e gli spintonamenti effettuati sulla collega avevano, secondo la ricostruzione datoriale, minato il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro ed il dipendente.
Il lavoratore, reputando illegittimo il licenziamento, si era dunque rivolto agli avvocati Sandro Salera e Carlo Beneduci per la tutela dei propri diritti. Il Tribunale di Cassino, pur ritenendo illegittimo il licenziamento, aveva però accordato al lavoratore solamente un risarcimento in denaro, non disponendone il reintegro dal momento che, seppur fosse stato dimostrato durante l’istruttoria che non ci fosse mai stato alcun contatto fisico tra i dipendenti, tuttavia il solo fatto di aver proceduto a insulti e minacce verbali si poneva in aperto contrasto con le norme comportamentali dettate dall’azienda, in quanto erano state proferite delle parole volgari ed oltraggiose secondo il comune sentire.
Tale stato di cose non avrebbe consentito il reintegro sul posto di lavoro. Appellata suddetta sentenza, la Corte di Appello di Roma confermava le statuizioni del primo grado di giudizio. Il lavoratore ricorreva dunque alla Suprema Corte di Cassazione che finalmente, dopo sei anni dal licenziamento, depositava sentenza con cui, rimandando gli atti alla Corte di Appello di Roma, ed in accoglimento della tesi difensiva dei legali Salera e Beneduci, statuiva in merito alla illegittimità del licenziamento e dettava i principi anche per il reintegro sul posto di lavoro. Sostanzialmente la Suprema Corte ha sottolineato, adottando un principio destinato a fare giurisprudenza, che le azioni del lavoratore, seppur censurabili, non fossero così gravi da determinare il licenziamento senza preavviso affermando dunque un principio di proporzionalità che, consentendo di non applicare in maniera granitica le previsioni dei CCNL di riferimento, possa permettere ai giudici di merito delle interpretazioni più consone ai fatti concreti contestati, disponendo il reintegro dei lavoratori licenziati anche laddove il reintegro non sia espressamente previsto dalle norme collettive.
Una sentenza, dunque, destinata a fare giurisprudenza e che potrà risultare decisiva per molti soggetti che ritengano di essere stati lesi nei propri diritti. Grande soddisfazione del lavoratore che finalmente, dopo sei anni, dovrà essere reintegrato sul proprio posto di lavoro ed a cui dovrà essere concessa la corresponsione di tutte le retribuzioni non percepite medio tempore.