L’estate dei suicidi in Ciociaria, una lunga scia di morte in un silenzio assordante – L’editoriale

13 morti in meno di 3 mesi e 19 tentati suicidi nel silenzio di politica ed istituzioni. Il Lazio fanalino di coda in tema di salute mentale

Quella 2024 verrà tristemente ricordata come l’estate dei suicidi. Numeri da far rabbrividire. Dall’8 maggio al 28 luglio, in provincia di Frosinone, tredici persone, tra cui 7 giovanissimi ragazzi tra i 16 ed i 34 anni, si sono tolte la vita. Il dato ha già abbondantemente superato le statistiche degli ultimi anni e mai si erano registrate vittime tanto giovani. Mai tante persone si erano uccise in un lasso di tempo così ristretto, tredici in meno di tre mesi. L’ultimo gesto estremo appena tre giorni fa. Anche in questo caso, la politica non prende posizioni. Non una parola, non un’interrogazione.

Si interroga invece l’opinione pubblica. La domanda è sempre la stessa: “Perché?”. Perché un giovane, un figlio, una figlia, un fratello, una sorella, un padre di famiglia, un amico decide di togliersi la vita? Ce lo siamo chiesti tante, troppe volte in questi mesi. Appellandoci a politici ed istituzioni. Chiedendo un confronto, un dibattito, una soluzione a questa emergenza che sembra non trovare fine. Ogni appello è caduto nell’oblio. Inascoltato mentre quei “numeri” continuavano a crescere nel silenzio e nell’indifferenza di chi sembra non interessarsi al fatto che quei “numeri” in realtà erano vite. Tredici vite spezzate e tredici famiglie distrutte per sempre dal dolore e dai sensi di colpa per non aver fatto abbastanza.

A parlare dell’emergenza suicidi in provincia, qualche settimana fa, nel corso di una lunga intervista LEGGI QUI – era stato il Comandante Provinciale dei Carabinieri, il Colonnello Gabriele Mattioli. I suoi uomini, in questi mesi, sono intervenuti nella maggior parte dei casi di suicidio e su diciannove tentati suicidi, molti dei quali hanno riguardato ragazzi e ragazze che sono stati salvati.

Disturbi sempre più diffusi ma la salute mentale resta un tabù

Negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, si è registrata un’escalation di disturbi mentali. Dopo il Covid i sintomi depressivi nella popolazione sono quintuplicati, con ansia e depressione che sono cresciuti, soprattutto tra i giovani, di quasi il 30%. Nel corso della vita, secondo gli esperti, quasi la metà degli adulti manifesta i sintomi di una malattia mentale. La più comune è la depressione, tra le prime cause di suicidio. Le malattie mentali coinvolgono un ampio ventaglio di disturbi del pensiero, dell’emotività, e/o del comportamento. Ecco, dovremmo rieducarci, tutti, a comprendere che la malattia mentale e i disagi che ne conseguono sono radicalmente cambiati rispetto ad un decennio fa. In passato, i pazienti affetti da malattie mentali venivano internati in un istituto o negli ospedali psichiatrici. Oggi, fortunatamente, non è più così ma la maggior parte non riceve l’assistenza e il supporto di cui necessita. L’ansia, i disturbi del sonno, quelli dell’umore e della personalità rientrano tra i disturbi che caratterizzano la malattia mentale. Altri disturbi mentali comprendono i disturbi dell’alimentazione, quelli da stress e, appunto, il comportamento suicidario.

Il reale problema della società sta nel fatto che nessuno voglia parlare di quanto, in realtà, il disagio mentale sia più diffuso di quanto non si dica. Le famiglie si ritrovano da sole, senza aiuti, senza supporti. Perché? Perché le istituzioni non hanno fatto abbastanza nell’ultimo decennio per contrastare quella che è a tutti gli effetti un’emergenza sociale. Non si è voluto accettare che la malattia mentale fosse in costante crescita, soprattutto tra giovani e giovanissimi. I CSM delle Asl sono saturi. Non c’è lavoro di equipe, non c’è una rete, sociale e di esperti, dietro a chi vive queste situazioni di disagio e dietro alle famiglie. Nei casi peggiori si finisce ricoverati in un reparto di SPDC. In provincia di Frosinone ne resta uno, a Cassino, saturo anche quello. Una bella dose di psicofarmaci per giorni o settimane e si torna a casa. Da soli. Ad affrontare un percorso tutto in salita.

In altri casi non si viene proprio seguiti. Nessuna consulenza psicologica o psichiatrica, nessuna terapia comportamentale, cognitiva, interpersonale, psicodinamica o di supporto. Quanti nuclei familiari, se non guidati, sono in grado di comprenderne l’importanza per aiutare un loro congiunto? Quanti hanno, da soli, la capacità di comprenderne la necessità? E quanti ne hanno la concreta possibilità economica?

Il Lazio fanalino di coda

Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, nel Lazio sono 1,5 milioni le persone che soffrono di disturbi mentali (27,1% della popolazione). Fra questi, il disturbo depressivo maggiore rappresenta una delle principali problematiche, con 20mila nuove diagnosi rilevate solo nel 2021 dall’ISTAT. Nonostante l’attuale situazione di emergenza e i dati allarmanti, il nostro Paese si posiziona agli ultimi posti in Europa per risorse economiche allocate per la salute mentale, con un finanziamento che si attesta circa al 3,4% del Fondo Sanitario Nazionale, contro il 10% di altri Paesi ad alto reddito (es. UK, Germania e Francia).

Su scala regionale, secondo una rielaborazione dei dati della Società Italiana di epidemiologia pediatrica e dei dati del ministero della Salute 2021, la Regione Lazio si posiziona al di sotto della media italiana, destinando alla salute mentale solo il 2,7% del Fondo Sanitario Regionale. I numeri sono emersi a Roma, in occasione dell’ultimo appuntamento della ‘Johnson & Johnson Week: Insieme verso la medicina del futuro’.

Numeri che certificano il fallimento del sistema assistenziale e sanitario nel Lazio. Promuovere la conoscenza dei disturbi mentali, ridurre lo stigma sociale verso le persone che ne sono affette, favorire una corretta e tempestiva presa in carico del paziente, investire sui territori per potenziare le cure nei distretti e avere un numero adeguato di professionisti. Sono tutte soluzioni che andrebbero adottate nel minor tempo possibile. Ma la politica, locale e regionale, sembra non interessarsi all’emergenza. Tredici suicidi in meno di tre mesi non sono evidentemente abbastanza.

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Roberta Di Pucchio
Roberta Di Pucchio
Giornalista pubblicista

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