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‘L’esorcista’, il diabolico romanzo cult di Blatty da non leggere se siete soli in casa

La recensione del libro da cui è stato tratto il famoso e omonimo capolavoro cinematografico per la regia di William Friedkin

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Che cosa succede alla piccola Regan, trasformatasi in un mostro blasfemo che urla oscenità e frasi sconnesse? Sua madre, la famosa diva del cinema Chris MacNeil, non riesce a capirlo. Né ci riescono i medici e gli psichiatri, né la polizia. Forse solo un esorcista può dare una risposta. Ma la Chiesa impone cautela, esige prove, chiede tempo. Intanto la casa risuona di colpi, i mobili si spostano da soli, un uomo muore con il collo spezzato, il fragile corpo di Regan sembra cedere alla tempesta che lo sconquassa. E lo scontro tra l’uomo di Dio e gli spiriti del Male sembra ormai inevitabile.

Scritto a partire dallo studio di un caso di possessione diabolica e pubblicato nel 1971, il romanzo ‘L’esorcista’ richiese all’autore, William Peter Blatty, una lunga e accurata ricerca sull’argomento. Il libro suscitò un certo scandalo nella critica ma ebbe da subito un impressionante successo di vendite. Considerato uno dei migliori romanzi horror mai scritti, L’esorcista, da cui è stato tratto il film horror per antonomasia, ha venduto circa sei milioni di copie ed è stato tradotto in diciotto lingue. L’omonimo film è stato diretto nel 1973 da William Friedkin.

Inossidabile dicotomia Bene-Male

‘L’esorcista’ non è semplicemente un romanzo horror. È molto, molto di più: è un grande capolavoro generazionale e come tale travalica i generi e li abbraccia tutti, assumendosi la responsabilità di divenire un modello-archetipo da ammirare e imitare. Un volume costato venti anni di lavoro e che lancia un grido di dolore e di allarme, contro la desacralizzazione del mondo e la secolarizzazione della società, che proprio in quegli anni cominciavano ad imporsi in modo implacabile, e apparentemente irreversibile. W.P. Blatty sembra voler dirci proprio questo, e lo fa in maniera cruda, violenta, oscena: quando Dio viene tolto di mezzo, trova campo libero il suo Nemico. Non importa che tu non ne abbia mai sentito parlare (come Regan), non importa che tu non ci creda affatto (come Chris MacNeil), non importa che tu ti ostini a negare i segni della sua presenza (come padre Karras): il Male può raggiungere e colpire chiunque, se non trova più argine che lo trattenga. Quando ce ne si rende conto, potrebbe essere troppo tardi…A meno di riuscire a trovare un vecchio esorcista come padre Merrin, che crede ancora all’esistenza del Diavolo ed è persino pronto al sacrificio estremo. Nelle oltre 400 pagine c’è tutto: religione, filosofia, psicologia, sociologia, antropologia e ancora, ancora altro.

Terrificante

Inquietudine allo stato puro quella creata da Blatty, il quale riesce a dare vita ad una storia dell’orrore in cui il Male, che si insinua silenzioso sin dalle prime pagine, pare aleggiare nell’aria durante tutta la lettura. Sì, perché è proprio questa la sensazione che si ha leggendo ‘L’Esorcista’. L’inquietudine, l’angoscia e il dramma sono palpabili, capaci di generare un graduale ed inesorabile crescendo di tensione fino alle ultimissime pagine. Degna di nota anche la caratterizzazione psicologica dei personaggi, e in particolar modo quella del tormentato Padre Karras. L’autore riesce a rendere moderno un tema razionalmente lontano dalla forma mentis contemporanea, ripulendo lo strato fantasy dall’argomento demoni e affini, giustamente relegati alla sfera delle ambientazioni medievaleggianti. La più grande forza del romanzo è che le varie componenti del background si mescolano nelle giuste dosi, si razionalizza al momento giusto, c’è abbastanza psicologia per dare un tono alle discussioni dei personaggi offerti come esperti in materia e misticismo per i momenti più angoscianti. Il ritmo è sempre costante.

Cult senza età

“Padre Karras: Credo che può esserle d’aiuto sapere delle diverse personalità che Regan ha manifestato. Fino a questo momento direi che sono tre…
Padre Merrin: È uno solo”.

Con ‘L’esorcista’ tra le mani sappiamo di avere davanti un cult sempre attuale, che nonostante l’età non è invecchiato. È un romanzo horror diverso da tutti gli altri e differente da ciò che ci viene spesso proposto. Incunea paura nel solco delle parole, attraverso il visibile e non attraverso scricchioli, ombre e voci sinistre. L’autore descrive brutalmente con immagini così nitide e reali da mettere i brividi. Sarebbe tutto più semplice accettare fin da subito che si tratti di paranormale ma l’autore non permette di prendere per buono ciò fino alla fine. Blatty non si sbilancia mai con le proprie idee sugli argomenti trattati, delicati per molti. Altro dettaglio che merita di essere notato sono i dialoghi. Sono strutturati in modo esemplare, il lessico e il modo di comunicare si sposano perfettamente con ogni personaggio. La psicologia dei singoli viene presentata ed affrontata dallo scrittore in modo preciso e controllato, andando a scandagliarne fragilità ed impotenze attraverso una descrizione pulita, cruda ed oggettivamente magistrale. Blatty è riuscito ad incastrare perfettamente tematiche quanto mai complesse come la fede e la superstizione, l’autentica disperazione e la più profonda angoscia, l’ignoto e la scienza, l’amore e l’odio, il silenzio senso di colpa ed il desiderio di riuscire ad essere perdonato. Leggere questo romanzo è un’esperienza spaventosa e memorabile al contempo. Un gioiello tetro, irredento senza alcuna redenzione.

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