Indicato come il nuovo Michelangelo, amatissimo dal pubblico social, seguito dalla critica internazionale. Eppure, nonostante i riflettori accesi e le telecamere puntate, Jago – l’artista di casa nostra – riesce a conservare la sua spontaneità, a trasmetterla, a emozionare. Lo fa con le sue sculture, lo fa nel nuovo documentario dove racconta la sua prima grande mostra a Palazzo Bonaparte, a Roma, che dal 12 marzo al 28 agosto ha attirato 140mila visitatori, tra cui tantissimi giovani. Con un gioco di parole, il lavoro prodotto da ItsArt e Ballandi, diretto da Giovanni Troilo e scritto da Filippo Nicosia e Marco Pisoni, si chiama ‘Jago, the rock star’ e sarà visibile in esclusiva gratuita su ItsArt dal 29 settembre. Al secolo Jacopo Cardillo, nato a Frosinone nel 1987, Jago plasma il marmo secondo forme tradizionali, ma dentro ci mette i temi del suo tempo. Usa le nuove tecnologie, racconta la sua produzione artistica su Instagram, dove conta 775mila follower, cerca la reazione degli altri perché “per me è questa la ricchezza”.
IL DOCUMENTARIO
Girato in notturna tra le opere della mostra prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studio, con la scelta azzeccatissima del bianco e nero, il documentario nasce con l’idea di “raccontare il lascito umano della mostra”, ha spiegato Cristina Pistis di ItsArt. “All’inizio è stata una sfida- ha aggiunto il regista Giovanni Troilo- perché Jago è un grandissimo artista e comunicatore. Ma questo ci ha permesso di affrancarci da alcuni obblighi, come l’esaustività, e ci siamo concessi il lusso di perderci”.
Maglietta nera e sneakers, Jago ha visto il documentario per la prima volta insieme alla stampa. “E’ stata una lezione importantissima, un gruppo di geni dell’immagine ha utilizzato del materiale umano, che ero io, e dei contenuti in modo eccellente. Mi hanno permesso di guardarmi in modo diverso”, ha raccontato l’artista all’agenzia Dire alla fine della proiezione. Non la versione social di Michelangelo, perché “io non voglio essere il nuovo nessuno, voglio essere me stesso”, nel documentario Jago svela una umanità che è bella quanto le sue opere. “La creatività, la possibilità di immaginare, appartiene a tutti– dice in un passaggio- La creatività, la curiosità e l’entusiasmo sono ciò che hanno i bambini e io non voglio perderli”. Riceve ricchezza dai significati che gli altri danno alle sue opere, perché “il mio sta già dentro l’opera. Se fai una scultura e la devi spiegare- dice- c’è un problema”.
A ognuno in modo diverso, evidentemente, ma i suoi marmi parlano, si danno al pubblico, sciolgono il freddo della materia e regalano calore umano. “Non ho mai incontrato Benedetto XVI”, dice Jago nel documentario a proposito del busto papale (“ma le mani sono le mie”) che gli è valso una Medaglia pontificia. Un’opera che però Jago ha trasformato dopo le dimissioni del Papa. “Quel giorno mi arriva un messaggio di mio padre: il Papa si è spogliato, diceva”. E così lui ha spogliato la sua scultura, rendendola Habemus homines, un capolavoro da un impatto fortissimo. “Il tuo subconscio dovrebbe essere il tuo alleato, ma nel momento in cui hai idee nuove ti dice ‘chi te lo fa fare’. E che ti ritrovi a fare alla fine della vita? Quello che fanno gli altri”.
“SAPER COMUNICARE VUOL DIRE SAPER ASCOLTARE”
E poi il corpo, raccontato nella sua nudità senile nella Venere. “Eleganza vuol dire indossare bene il proprio corpo. Non vedo l’ora di avere quelle rughe- rivela- La vecchiaia è un premio e io la voglio conquistare”. Certamente lui ha conquistato un pubblico di giovanissimi che hanno affollato le sale di palazzo Bonaparte. “Intercettare la curiosità e il desiderio di partecipazione di una data fascia d’età non è semplice, ma la verità è che è automatico che avvenga nella misura in cui tu fai qualcosa che appartiene agli altri. Viviamo in un momento rivoluzionario- ha spiegato alla Dire- e so molto bene che non puoi pretendere attenzione se non dai attenzione. Saper comunicare, vuol dire saper ascoltare”.
L’ultima immagine del documentario mostra Jago che cammina di spalle su via del Corso verso piazza Venezia, dove affaccia Palazzo Bonaparte. La monumentalità di Roma lo avvolge. “Che cosa spero per questo Paese? Credo che la speranza appartenga ai disperati, non siamo disperati, siamo padroni della possibilità di creare un futuro, ma partendo da un presente magnifico- ha risposto sollecitato sulle elezioni politiche di domenica- Partire dal potere della bellezza che ci circonda, capirne le radici, ci può permettere anche di capire come investire nel futuro. Quali sono i gesti che ci possono condurre a creare qualcosa che possa rendere questo luogo nuovamente un punto di riferimento di bellezza nel mondo. Lo è- ha detto infine- ma per quello che ci è stato lasciato. La domanda che ci dobbiamo fare è io che cosa sto facendo? Abbiamo tutti una grande responsabilità“. – Fonte Agenzia Dire