L’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata l’occasione per il procuratore generale facente funzione Salvatore Vitiello per rendere nota la presenza di fenomeni criminali che stanno fortemente penalizzando il basso Lazio.
“La Direzione Distrettuale Antimafia di Roma conferma che nel territorio metropolitano di Roma, nell’area limitrofa e nel basso Lazio sono radicate numerose organizzazioni criminali e tra loro diversificate per quanto riguarda la struttura, i modelli operativi praticati e l’origine della forza di intimidazione. In tale contesto, si configura quello che viene definito come pluralismo strutturale: alle organizzazioni mafiose di matrice autoctona si affianca una galassia criminale fatta di singoli o gruppi, articolazioni delle organizzazioni mafiose tradizionali. Tali gruppi, proprio mediante la sistematica adozione del metodo mafioso, vengono ricompresi nel paradigma dell’associazione per delinquere di tipo mafioso. Le risorse illecitamente ottenute dalle organizzazioni criminali vengono utilizzate per acquisire il controllo di attività imprenditoriali o per penetrare il mondo degli appalti. In questo contesto l’azione di contrasto di fenomeni così invasivi del tessuto economico ed amministrativo, anche se non inseriti nel perimetro della criminalità organizzata, non può prescindere dall’attività di intercettazione, che potrà essere meglio puntualizzata per evitare indebite propalazioni nei confronti di persone estranee al procedimento, ma senza restringerne l’uso, anche perché l’esperienza investigativa ha dimostrato abbondantemente che le intercettazioni disposte per delitti comuni, comunque gravi (come la corruzione) hanno permesso di disvelare pericolosi intrecci mafiosi – dice Vitello.
Sul piano delle tipologie generali risulta “un costante aumento dei reati in materia di criminalità organizzata, oltre ad una significativa presenza di gruppi criminali riconducibili alle mafie tradizionali, nei territori dei circondari, di Roma, Tivoli e Latina; la stabilità dei reati relativi alle violenze di genere e in danno di persone vulnerabili; un incremento dei decessi e delle lesioni da infortuni sul lavoro, anche a cagione della notevole ripresa dell’attività nei cantieri edili a seguito della cessazione delle limitazioni imposte dalla pandemia e per i numerosi incentivi statali nel settore”.
Parole che non fanno altro che ripercorrere attività investigative compiute negli anni addietro in provincia di Frosinone e che sono poi sfociate in diversi provvedimenti giudiziari ed amministrativi. Un fenomeno quello della connivenza che è stato oggetto di una riflessione scritta dell’ex prefetto di Frosinone, Ignazio Portelli, oggi commissario dello Stato per la regione Sicilia.
“Sono giornate piene di discussioni sulle capacità delle mafie; sull’argomento in varie occasioni mi è stata posta la domanda se si può fare finta di niente? Prima di rispondere, provo a svolgere alcune brevi considerazioni.
Ritengo che indipendentemente dal metodo di analisi sulla natura del potere mafioso, esistono due caratteristiche certe:
a) la prima riguarda la capacità delle mafie di penetrazione nel tessuto sociale ed istituzionale;
b) la seconda attiene alla natura degli apparati pubblici, alla mancata realizzazione dello Stato di diritto e alla diffusa affermazione, soprattutto Centro e Meridione, dei favori e delle clientele.
Gli elementi del potere delle mafie sono sempre gli stessi quattro: il potere della violenza; il potere economico-finanziario; il potere umano (il consenso delle risorse umane); il potere politico. Per l’esercizio di questi poteri non si può prescindere dalla corruzione, dal malgoverno e dalla contiguità. Le prime due sono più evidenti, la terza è la più insidiosa perché non sempre ben definibile e configurabile. La contiguità, in particolare, costituisce un complesso fenomeno dai molteplici aspetti sociali, culturali, economici, criminali ed istituzionali, che storicamente coinvolge ampi territori del Mezzogiorno, ma è ormai in fase di consolidamento e di espansione in altre aree del Paese.
Mi sembra possibile poter desumere cinque sintetiche linee di connotazione della contiguità da cui si sviluppano e trovano alimento l’ingiustizia, la corruzione ed il malgoverno:
a) ogni favore ed ogni aiuto, per quanto modesto possono essere considerati, costituiscono un danno all’intera società e al vivere civile, in quanto ciascuno vede solo la pagliuzza del proprio miserabile privilegio di vessazione e non la trave della propria sottomissione (Paolo Flores D’Arcais);
b) quando è coinvolto un soggetto pubblico il danno e il disvalore sono ancora maggiori, perché investono, tra l’altro, la credibilità e l’affidabilità della legalità istituzionale; vale sempre l’ammonimento di Alessandro Manzoni: (…) tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano l’animo degli offesi;
c) le mafie hanno la necessità di doversi misurare con le burocrazie e i saperi; si tratta di necessità ineludibili, una inevitabile conseguenza dello sviluppo continuo dei mezzi di produzione, delle attività finanziarie, delle innovazioni, del progresso tecnologico e di quello scientifico, delle economie di mercato, dei compiti amministrativi dello Stato, e della specializzazione sempre più avanzata dei saperi e delle professioni (comprese quelle sanitarie), così da implicare un alto grado di conoscenza settoriale e specialistica;
d) esistono, purtroppo, persone grigie, ambigue, avide, pronte al compromesso; professionisti e capi che preferiscono essere ciechi, subordinati, che scuotono la testa di fronte ad una richiesta mafiosa e poi acconsentono e affermano se non lo facessi io, lo farebbe un altro.
E’ chiara l’esistenza di infinite sfumature e motivazioni in varie combinazioni: terrore, viltà, astuzia, voglia miope di un qualsiasi potere; ricerca di benessere, di status e di privilegi; ricerca di promozione sociale altrimenti irraggiungibile. Alcuni, poi, possiedono una sindrome del potere protratto ed incontrastato, una visione distorta del mondo, l’arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione, l’appoggiarsi convulso alle leve di comando, il disprezzo delle leggi ed altro ancora, quale l’area indefinita delle ambiguità, del compromesso, della corruzione, della concussione e, in generale, dell’illegalità. Questo modo di agire – ha annotato Primo Levi – è noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e i luoghi, è praticata da sempre dalla mafia.
Le attività mafiose (dirette o contigue) sono prevalentemente permeate dall’ingiustizia sociale e dal privilegio e ciò ha una particolare conseguenza nelle illegalità percepite. Il contrasto alle contiguità è un percorso ad ostacoli. E’ la zona grigia che nel condivisibile giudizio di Primo Levi costituisce una antica e grande colpa che pesa sullo Stato, sulle sue regole di funzionamento e sulla sua organizzazione degli apparati. Già nell’introduzione a Ed Reid, La mafia, (Firenze, 1956), P. Calamandrei annotava (pp. XI-XII): Bisogna che i governanti italiani (…) cerchino di scoprire e di individuare, soprattutto nei ceti altolocati, i legami occulti (…). Sono questi i legami di alta classe che bisogna recidere, per togliere al mostro la vitalità che gli deriva da una inafferrabile organizzazione tentacolare.
Non di rado la rete territoriale degli uffici pubblici è estremamente debole ed incapace di assicurare azioni coerenti.
Il contrasto, nonostante ogni sforzo, non sempre consegue i risultati dovuti ed attesi per molteplici cause, ad iniziare dalla circostanza che non tutto il sistema amministrativo e non tutta la società civile sono orientati a far crescere le condizioni per il prevalere dell’efficienza, della competenza, del merito e della serietà di intenti.
Quindi si può fare finta di niente?, è sempre la stessa, no! E’ comunque dovere etico e morale sempre lavorare per ergere in modo ancora più profondo il solco delle legalità, altrimenti si continuerà a sostenere un prezzo sempre alto in termini di mediocrità, di mortificata convivenza civile e di mancato sviluppo economico. Achille Ardigò, citando Martin Luther King, mi disse la cosa peggiore non è la malvagità degli uomini cattivi, ma il silenzio degli uomini onesti”.