Ho conosciuto Giulio Halasz diversi anni fa. Abbiamo collaborato a stretto gomito nel settore del giornalismo sportivo per tanto tempo. Abbiamo scritto pagine insieme, condiviso gli spalti, le idee, le passioni. Da sempre Giulio è stato uno di quei colleghi da cui imparare qualcosa, da ammirare per la tenacia con cui perseguiva i propri obiettivi, inseguiva ambizioni sempre più luminose. Determinato, caparbio, capace. Ma il suo amore per lo sport, il calcio in primis, non si è fermato alla narrazione. D’altronde, lui desiderava essere parte integrante di un progetto, assumersi responsabilità decisionali. E così, da quella scrivania spesso condivisa dove scambiavamo battute sulle prestazioni più o meno belle di ogni squadra della provincia ciociara, Giulio si è alzato. Ha deciso che quel tempo era finito, aveva bisogno di un altro tipo di stimolo. Ed è arrivata, non senza un duro lavoro di qualificazione, la possibilità di trasformare un desiderio in realtà. Oggi è ciò che voleva essere, un direttore sportivo. La sua prima esperienza in tal senso è stata lo scorso anno a Rieti. Per la nuova stagione si è riavvicinato a casa, ed esercita la sua nuova professione a Ferentino, in Eccellenza. In questa danza di lavoro e progettualità, l’organizzazione di eventi importanti e di lustro, come il ‘Premio Maestrelli’ e i Tornei Lazio Cup. Ma Giulio Halasz ancora non si ferma, come mi ha raccontato lui stesso in questa intervista.
Giornalista, responsabile della comunicazione, direttore sportivo, organizzatore di eventi di rilievo in ambito calcistico: insomma, Giulio Halasz è un uomo di sport a 360 gradi. Ma in quale figura si rivede maggiormente?
“Credo che ormai, in ambito calcistico, sia necessario avere delle competenze a 360 gradi. Sicuramente mi rivedo maggiormente nel direttore sportivo perché è il ruolo che ho deciso di “sposare”. Ma per portare avanti questo discorso è necessario comunicare in un certo modo e conoscere tante dinamiche organizzative”.
Come è nata questa passione e come è riuscito a trasformarla in lavoro?
“Da amante del calcio ho sempre sognato di diventare un direttore sportivo. Appena è stato possibile conseguire la qualifica da professionista a Coverciano non mi sono fatto sfuggire l’occasione. E, ora, lavoro ogni giorno con l’ambizione di arrivare nel professionismo”.
A quale esperienza è legato di più?
“La stagione a Viterbo è stata straordinaria. Al di là dell’aspetto sportivo ho avuto modo di conoscere persone eccezionali che oggi possono definire “amici”. E nel calcio non è assolutamente una cosa scontata. Poi inutile dire che l’organizzazione dei tornei Lazio Cup e del Premio Maurizio Maestrelli occupa un posto speciale nella vita visto che sono iniziative organizzate esclusivamente da me e mio padre”.
Un aneddoto che le piacerebbe ricordare…
“Sulla stagione a Rieti ce ne sarebbero fin troppi. Mi limito a dire che, purtroppo, ho il triste primato di essere l’ultimo direttore sportivo della storia di una società gloriosa”.
Dei tanti calciatori e addetti ai lavori che ha intervistato, incontrato, con cui ha collaborato, chi le ha lasciato un segno più profondo?
“Ho avuto la fortuna di avere a che fare con tante persone di spicco del panorama calcistico. Ma, dovendo fare un nome, dico Ariedo Braida: gli consegnai qualche anno fa il Premio Maurizio Maestrelli e, in quella serata, mi colpi per la sua umiltà e il suo entusiasmo nel parlare di calcio con chiunque. Piccolo particolare, al tempo era il DS del Barcellona ma sembrava di parlare con un amico di una vita”.
Ora la nuova avventura come diesse del Ferentino: cosa si aspetta personalmente da questo campionato e a livello societario?
“Credo e spero che la squadra possa lottare per le prime posizioni. La società ha le carte in regole per poter ambire a categorie superiori”.
Uno sguardo al calcio in generale: come lo trova cambiato da quando ha iniziato ad appassionarcisi fino ad oggi, in cui è diventato la sua vita professionale quotidiana?
“Nonostante l’evoluzione continua di questo sport penso che sia necessario sempre lo studio, il lavoro quotidiano e tanta passione per emergere. Bisognerebbe avere il coraggio di puntare maggiormente sui giovani, sembra una frase fatta ma è la verità. In Italia, in qualsiasi categoria, ci si fanno troppi problemi se un giovane ha qualità e si finisce per considerarlo poco. Ecco, questa è una dinamica che, purtroppo, non è cambiata”.




