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Frosinone – Droni in carcere per i rifornimenti illeciti, smantellato il business tecnologico della camorra

Frosinone - Il penitenziario di via Cerreto ritenuto, per importanza logistica, al pari di Secondigliano e Poggioreale

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Il carcere di Frosinone ritenuto, per importanza strategica, al pari di quello di Secondigliano e Poggioreale. Questo è quanto emerge dall’ordinanza di oltre 350 pagine a firma nel gip di Napoli, Luca Della Ragione, che ha portato allo smantellamento di una organizzazione criminale che riusciva a introdurre all’interno del penitenziario di via Cerreto, con l’utilizzo di droni ultramoderni, telefoni cellulari, armi e droga. LEGGI QUI – Un modus operandi radicato in diversi penitenziari d’Italia che anche a Frosinone aveva trovato terreno fertile: l’utilizzo di droni, abilmente manovrati da basi operative, ha consentito l’arrivo nelle celle di quanto necessario ai detenuti per comunicare con l’esterno o per soddisfare i loro fabbisogni quotidiani.

Un “service” con “un vero e proprio tariffario” utilizzato da diversi clan della camorra che dava la possibilità ai detenuti reclusi in 19 istituti penitenziari italiani di ricevere, attraverso droni modificati, droga, schede telefoniche, cellulari di vario tipo per comunicare anche con l’esterno. A Frosinone è stata introdotta anche una pistola. “C’era proprio un tariffario – dice Gratteri – uno smartphone costava 1000 euro; una scheda telefonica 250 euro”. L’organizzazione “serviva e seguiva i detenuti di camorra in tutte le carceri italiane, man mano che questi si spostavano e forniva – aggiunge il Procuratore – la cocaina, la marijuana e i cellulari per comunicare tra loro e con l’esterno. Siamo riusciti a dimostrare – afferma il capo della Procura di Napoli – come un esperto di droni era in grado non solo di truccare i droni per trasportare maggiore peso, ma soprattutto per non essere controllato negli spostamenti”.

La sparatoria nel carcere di via Cerreto

Un meccanismo perfetto che nel carcere di Frosinone è saltato nel settembre del 2021 quando all’interno del braccio di sicurezza un detenuto armato di pistola spara diversi colpi contro un gruppetto di pregiudicati che nei giorni precedenti lo aveva malmenato. Solo per un caso fortuito l’aggressione a colpi di calibro 22 non si tramuta in omicidio ma da questo momento in poi all’interno del penitenziario si tocca il punto di non ritorno. La sparatoria accende i riflettori dei media nazionali e del Dipartimento Penitenziario che, unitamente alla Questura di Frosinone, avvia un’indagine che ieri è sfociata in 11 misure cautelari a carico di detenuti e affiliati alla criminalità organizzata che dall’esterno organizzavano i ‘voli del malaffare’ dei droni, manovrandoli da zone situate a poca distanza dal carcere ciociaro.

Nel corso della conferenza stampa che si è svolta in Procura a Napoli, il procuratore capo Nicola Gratteri ha spiegato che è cosa “urgente mettere in sicurezza le carceri italiane con dei Jammer, strumenti tecnologici per disturbare le frequenze, al fine di contrastare le organizzazioni criminali che utilizzano strumenti come droni modificati per contattare direttamente i detenuti e permettere comunicazioni con l’esterno e lo spaccio in carcere”. “Si tratta di un problema nazionale – prosegue il Procuratore – un jammer costa 60.000 euro. Si potrebbe partire dalle carceri più grandi d’Italia, come Secondigliano, come Rebibbia, Milano Opera, e poi pian piano attrezzare tutte le carceri; quantomeno dove c’è l’alta sicurezza”.


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