Home Spettacoli e Cultura Recensioni - Un libro a settimana ‘Factotum’, tra disperazione e apatia: la semi-autobiografia ‘on the road’ di Bukowski

‘Factotum’, tra disperazione e apatia: la semi-autobiografia ‘on the road’ di Bukowski

La storia di Henry Chinaski, l'alter-ego dello stesso autore, tra sbronze colossali, lavori saltuari e donne discutibili

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Henry Chinaski è un factotum, un tuttofare che salta indifferentemente da un mestiere all’altro, che attraversa l’America vivendo alla giornata. È in cerca di un lavoro dopo essere stato rifiutato per l’arruolamento nella Seconda guerra mondiale. Affidandosi all’improvvisazione e al caso, è pronto a seguire quel suo istinto disperato che si traduce in uno stile di vita fatto di lavori manuali, sesso intenso e sfrontato, sbornie quotidiane, fallimenti, scommesse pazze. Uno stile di vita che, a sua volta, ne diventa l’ineluttabile e tragicomico destino.

Henry Chinaski non è che l’alter ego dell’autore Charles Bukowski e ‘Factotum’ (1975) è il suo secondo romanzo, quello che lo ha consegnato al pubblico italiano e al successo. Nel 2005 ne è stato tratto un film omonimo diretto da Bent Hamer e interpretato da Matt Dillon nel ruolo del protagonista. Il poeta e scrittore statunitense di origini tedesche è un maestro del ‘realismo sporco’, corrente letteraria nata negli Stati Uniti tra gli anni ’70 e ’80, che associa lo stile minimalista al ritratto di personaggi volgari, con un linguaggio esplicito e crudo.

Lo scrittore Charles Bukowski

Romanzo on the road

Di primo acchito, sfogliando le pagine iniziali di ‘Factotum’, viene subito da pensare di trovarsi di fronte un romanzo ‘on the road’. Di un realismo sporco, anche sboccato, crudo, il libro narra le vicende di un ubriacone senza un soldo in tasca, sempre con la valigia in mano. Nelle sue scorribande tra periferia e metropoli, l’apatia di facciata di Chinaski fa a botte con la sua disperazione interiore, quella di un uomo disgustato dalla società. Un disgraziato, svogliato, i cui unici stimoli sono regalati dalla gola bagnata e saziata dall’alcol, da donne discutibili con cui condividere solenni sbornie e lenzuola lerce. Con la ruvidità linguistica che lo ha reso noto e amato, Bukowski non lesina qualche piccola regalia a sé stesso. Ogni tanto anche al suo neghittoso tuttofare capita un piccolo colpo di fortuna ma di breve durata. Nel suo itinerario lavorativo, Chinaski non guarda mai indietro ma non guarda neppure al futuro. Vive solo l’oggi, tra dipendenze e lassismo. Senza il fascino del ‘bad boy’, del maledetto e ribelle. È un solitario, passivo e privo di ambizioni che si barcamena in un mare di umiliazioni. “La vita mi faceva semplicemente orrore. Ero terrorizzato da quello che bisognava fare solo per mangiare dormire e mettersi addosso qualche straccio. Così restavo a letto a bere. Quando bevi il mondo è sempre lì fuori che ti aspetta ma per un po’ almeno non ti prende alla gola”, in sintesi, con una frase, la filosofia di Chinaski.

Critica al capitalismo

Herny vuole lavorare il meno possibile. Il tema lavoro, difatti, fa il palio, per importanza, con quello del viaggio. Il protagonista è disposto a mettere in gioco tutta la sua duttilità ‘professionale’ pur di campare racimolando quel poco che gli serve per sfamarsi ma soprattutto per bere, senza però doversi impegnare troppo. Vuole vivere a modo suo, alla faccia del capitalismo imperante. Non vuole produrre, consumare e crepare, parafrasando una famosa citazione. Bukowski esprime con questo escamotage la sua personale critica a quel sistema economico e a quell’impianto ideale che ci vuole produttivi e affamati.

Bukowski? O lo ami o lo odi

Non ci sono vie di mezzo. Charles Bukowski lo si ama o lo si odia. E io lo amo. E ho amato questo libro che tutto è tranne che un’accozzaglia di volgarità gratuite come qualche scettico moralista potrebbe pensare. In ‘Factotum’ l’assenza di una trama in senso tradizionale permette allo scrittore di mettere su carta la descrizione caustica e dissacrante di un’America bigotta (ed era il 1975…). C’è un’acuta riflessione sulla condizione umana con alcuni spunti geniali che oltrepassano il confine dell’anti-omologazione di Henry. Gemme di rara disperazione nella presa di coscienza della propria anima, delle debolezze con cui ognuno di noi lotta quotidianamente. Realista, arrabbiato, quasi osceno. Ma anche divertito, a tratti lirico. Inconfondibile.

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