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‘C’era una volta a Hollywood’, l’esordio letterario di Quentin Tarantino: il capolavoro di una star

La recensione del primo romanzo del famoso e talentuoso regista, pubblicato circa due anni dopo l'omonimo film

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Rick Dalton è un attore con alle spalle una luminosa carriera nel cinema in bianco e nero, ma a Hollywood negli anni ’60 si invecchia molto in fretta e ora Dalton deve lottare per un ruolo in una serie tv commerciale o in un film in Italia con Virna Lisi o Gina Lollobrigida. La spalla di Rick è Cliff Booth, un veterano di guerra dalla vita movimentata che gli fa da controfigura nei film, e da confidente e autista nel privato. La vita di Rick e Cliff a Cielo Drive è scandita dalle feste a casa di Roman Polanski, il regista del momento, dalla rivalità con Steve McQueen e con Bruce Lee, e dalla ricerca ossessiva di un ruolo importante per rilanciare una carriera in declino. Mentre un giovane carismatico, arrabbiato con Hollywood per avere infranto i suoi sogni artistici, progetta la sua vendetta violenta in una comunità hippy fuori città, Rick è distratto dall’attrice che recita con lui nella serie tv: una giovane lolita che lo riporta nella magia del cinema.

‘C’era una volta a Hollywood’, il primo romanzo di Quentin Tarantino (2021) è una storia di desiderio e riscatto tra le stelle del cinema: mentre tutto sta cambiando, la forza dell’immaginazione appare come una sirena a cui è difficile resistere. In realtà più che un romanzo, il libro è una novelization, ossia una trasposizione letteraria dell’omonimo film uscito circa due anni prima e rispetto alla pellicola, presenta delle differenze.

C’era una volta la copertina

Se la copertina americana del romanzo riprende i ritratti del cast principale della pellicola, quella italiana ricorda invece le atmosfere dei noir di Joe R. Lansdale, ritraendo la Cadillac Coupe DeVille 1964 del protagonista Rick Dalton guidata sempre dal suo “socio” (e co-protagonista) Clifford “Cliff” Booth (questi possiede invece una più “umile” Volkswagen Karmann Ghia decappottabile).

C’era una volta Quentin Tarantino

C’era una volta quel genio-teppista di Quentin Tarantino, c’era una volta la Hollywood sfavillante dei favolosi anni 50-60. C’era una volta la volontà ispirata del talentuoso regista di riportarci tutti indietro nel tempo, e non a bordo di una DeLorean, piuttosto di una MG TD del 1962, quell’auto-feticcio su cui sfrecciano l’attrice Sharon Tate e il marito regista Roman Polanski, di ritorno dall’Europa dopo il successo di ‘Rosemary’s Baby’. Nelle intenzioni inziali del maestro di Knoxville, ‘C’era una volta a Hollywood’ doveva essere proprio un libro. Solo che poi si è trasformato in un film e ancora dopo è tornato ad essere ciò per cui quelle idee erano state partorite. Un contorto salto temporale, tra flashback e flashforward, così come negli anni Tarantino ci ha abituato. La magia di questo ritorno al passato si libra veloce con la vita a tutto gas dei tre protagonisti: Rick, Cliff e Sharon. La ‘triade’ viene esplorata, nella propria intimità, particolareggiata con dettagli omessi dalla pellicola. I controversi episodi del passato dello stuntman biondo e figo, i suoi amori, come ha ucciso la moglie. La prima volta della bella Tate a Hollywood, una sanguinosa vicenda del bipolare Rick…Tarantino tratteggia meravigliosamente i suoi ‘figli’ e altrettanto fa bene con le figure marginali, come il terrificante e manipolatore Charles Manson, con la dolce e arguta Mirabella. Il tomo non si riduce ad essere la fotografia storico/culturale/sociale dell’epoca ma è un excursus puro nella Hollywood di Polanski, delle grandi feste alla Playboy House e degli attori che si incontrano al bar per scolarsi Whiskey Sour e raccontare delle mille conquiste.

C’era una volta l’amore per il cinema

‘C’era una volta a Hollywood’ è una piccola e preziosa enciclopedia sul cinema, di cui l’autore ne ha una conoscenza che ha del pazzesco. Anche i protagonisti sono trasferiti su carta e restituiti al lettore in base alle loro emozioni, alla loro filosofia, ai loro gusti sulla settima arte. Non c’è solo Hollywood, soprattutto per l’ex veterano del Vietnam Cliff che, a dispetto della rudezza con cui picchia e non si fa problemi ad uccidere, ha un palato raffinato e ama Kurosawa e i film stranieri, mentre denuncia a mente lo star system hollywoodiano. Poi, invece, c’è Rick, l’attore mai decollato e incollato – come i baffi posticci al proprio volto – al ruolo del cattivo. Per Dalton esiste solo il cinema di Hollywood, invidia i divi ed è affranto quando gli offrono di girare spaghetti-western in Italia. Viene dalla tv e ha sempre sognato il grande schermo, ma gli è stato preferito Steve McQueen. Anche Sharon Tate sogna di affermarsi nella città delle stelle, di trovare la sua dimensione filmica oltre l’immagine del talentuoso marito e va guardare sé stessa in sala, durante la proiezione di ‘Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm‘, per controllare la verosimiglianza della propria recitazione in un ruolo che fino a quel momento le era stato estraneo. In ultimo, la piccola Mirabella, l’attrice promettente che a 8 anni non mangia prima di una scena ad ora di pranzo, che impara le battute a memoria di chi è sul set nella sua stessa scena, che sogna l’Oscar e che impronta la sua esistenza al sacrificio in nome dell’arte.

C’era una volta l’amore per la musica

L’autore dimostra significativo riguardo anche alla dimensione musicale, già determinante nell’opera filmica, rendendo il suo lavoro al pari di una ricerca multimediale. Tarantino amplifica la soundtrack della pellicola con nuovi avvisi sonori, interconnessi all’intimità del suo elaborato. Simon & Garfunkel, Rolling Stones, Paul Revere, Aretha Franklin, Otis Redding, The Mamas and The Papas e molti altri esplodono dalle pagine del libro con le loro note, con la loro voce: mentre lo scrittore li annuncia sembra di sentirli in cuffia.

C’era una volta il film. C’era una volta il romanzo

“Per Cliff La sfida del samurai non fu né il primo Kurosawa né il primo film con Mifune. Qualche anno prima aveva visto I sette samurai. L’aveva trovato magnifico, ma credeva che nessun altro film di quel regista potesse essere allo stesso livello. Le recensioni che lèsse però lo convinsero a verificare come fosse l’ultima fatica di Mifune e Kurosawa”.

Due opere omonime, libro e film, ma totalmente autonome. Il primo non è solamente un ‘supplemento’ di sceneggiatura, anzi. Un’opera è l’arricchimento dell’altra, ognuna ci mostra un pezzetto che l’altra non porta con sé. Ad esempio, mentre il volume solo accenna al massacro di Cielo Drive, il finale del lungometraggio ci mostra il divertissement tarantiniano che per la seconda volta (dopo Bastardi Senza Gloria) riscrive la storia, o un pezzetto di essa. Reinventa la realtà e le regala un finale certamente migliore di quello vero. Dalla natura anfibologica, C’era una volta a Hollywood-carta amplifica il C’era una volta a Hollywood-movie, un grandissimo calderone colmo di materia incandescente che testimonia la bruciante passione di mr. Quentin per l’arte. Un esordio letterario fulgido. Tarantino dimostra di essere artista a tutto tondo: storyteller, regista, sceneggiatore d’eccezione. Con la sua scrittura secca, diretta, sbarazzina, scorrevole, godibile e godereccia – piena di volgarità e dettagli scabrosi che non sarebbero potuti andare davanti le telecamere – ci guida in un lungo spaccato d’epoca (quasi 400 pagine) senza annoiare neppure per un secondo. La struttura a incastro dei libri di J. D. Salinger che ha sempre contraddistinto i film di Quentin Tarantino ritorna mischiandosi a un’altra sua cifra stilistica, i dialoghi losangelini alla Raymond Chandler. Violento e colto come Edward Bunker, iconico come Elmore Leonard, ‘C’era una volta a Hollywood’ è una scatola cinese, una storia che ne contiene molte altre come succede in tutte le migliori sceneggiature tarantiniane. Ha l’abilità di aprire varchi di curiosità laddove non si conosca, di far sorridere quando si auto-cita (concedendo alla Trudi-Mirabella adulta una nomination per The Lady in Red, immaginario gangster movie ambientato negli anni ’30 diretto da un certo Quentin Tarantino), di lasciare di sasso davanti a storie che – come sempre – non ti aspetti. Non cade mai. Un libro da leggere assolutamente, imperdibile per gli appassionati del grande schermo. Per quelli che come Tarantino vogliono credere sempre che il cinema superi la vita, la finzione espanda la realtà. È lui, Quentin, la grande star di Hollywood.

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