Cambiamento climatico, le conseguenze minacciano la presenza dell’uomo nelle aree fluviali

Una ricerca ha messo a fuoco l'evoluzione dei delta dei fiumi: ora sono ambienti vulnerabili, un domani saranno inabilitabili

Dal Mississippi al Nilo, passando per il Delta del Po. Le conseguenze dei cambiamenti climatici minacciano la presenza dell’uomo nelle aree fluviali. I periodi di siccità prolungata, gli eventi meteo estremi e l’innalzamento del livello del mare rischiano infatti di rendere queste zone inabitabili. Il nuovo allarme è lanciato da un gruppo internazionale di studiosi, di cui fanno parte anche due ricercatori italiani: Alessandro Amorosi dell’Alma Mater di Bologna e Vittorio Maselli dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il loro lavoro, pubblicato sulla rivista ‘Nature Sustainability’, parte dal ruolo fondamentale che i delta dei fiumi hanno avuto per lo sviluppo socioeconomico dell’umanità negli ultimi 7.000 anni e mette in guardia da un possibile tragico futuro.

Questi ambienti sono oggi “minacciati dalla crisi climatica– conferma l’Alma Mater- se non si adotteranno strategie di mitigazione efficaci e misure definitive per la riduzione delle emissioni, i sistemi deltizi rischiano di diventare terre inospitali, tanto da rendere impossibile la presenza umana”. Nel Delta del Po, in particolare, il riscaldamento globale ha provocato un duplice effetto. Da un lato, spiegano ancora gli studiosi, “la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature sta riducendo l’apporto di acqua dolce, con conseguenze critiche sulla disponibilità idrica per l’agricoltura e per l’approvvigionamento urbano”. Dall’altro, l’innalzamento del livello del mare e “la riduzione delle portate idriche facilita l’intrusione di acqua marina, rendendo i terreni sempre meno produttivi, con impatti devastanti sull’agricoltura e sulla biodiversità”.

Secondo gli scienziati, dunque, “in assenza di una stabilizzazione climatica, sarà estremamente difficile preservare i sistemi deltizi e gli ecosistemi ad essi associati“. In futuro, quindi, queste aree potrebbero essere soggette a “progressiva sommersione”, con il conseguente “abbandono delle terre” e “migrazioni di popoli su larga scala verso regioni più ospitali nell’entroterra”. Nel corso dei millenni, ricorda Amorosi, i delta dei fiumi “hanno stimolato innovazioni nella gestione delle acque, nel controllo della subsidenza e nella mitigazione dell’erosione, creando una profonda interdipendenza socio-ecologica tra la civiltà umana e l’evoluzione di questi ambienti. L’aumento della pressione antropica e dell’uso del suolo nelle aree costiere nel corso degli ultimi decenni, connesso alla crescita esponenziale della popolazione e allo sviluppo in molte di queste regioni di vere e proprie megalopoli, ha tuttavia reso i delta sempre più vulnerabili, ponendo una seria minaccia alla loro sopravvivenza”.

Secondo il ricercatore dell’Alma Mater di Bologna, dunque, “in scenari di estremo innalzamento del livello del mare, i delta rischiano di finire progressivamente sommersi, rendendo insostenibile lo stesso sviluppo economico e addirittura impossibile la presenza umana in queste aree: in alcuni delta come ad esempio quello del Mississippi, questo paesaggio è già una realtà ineluttabile”. Il rischio, in sostanza, è “vedere la fine della millenaria interazione tra società umane e ambienti deltizi, compromettendo irreversibilmente i benefici ecosistemici e socio-economici che questi territori hanno storicamente offerto all’umanità”, conclude Amorosi. – Fonte Agenzia Dire www.dire.it –

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