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‘Branchie’, lo spassoso delirio onirico di un giovane Ammaniti: un esordio molto pulp!

La recensione del primo romanzo dell'irriverente autore italiano, 'Premio Strega' nel 2007 per 'Come Dio comanda'

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Protagonista è un ragazzo che fabbrica acquari e studia il comportamento dei pesci. Malato di cancro, si trascina abulico da una festa all’altra al seguito di una fidanzatina, nei quartieri alti di Roma. Finché gli arriva una proposta curiosa: trasferirsi in India e costruire un acquario per una misteriosa signora. L’India di Ammaniti si rivela un continente fragorosamente eccessivo, che sembra nato da una mente eccitata e febbricitante. Succede di tutto: il ragazzo è sequestrato da una banda di arancioni, si unisce a un gruppo di musicisti che vivono sottoterra, viene sedotto da una ragazza che vive in un castello, e scopre che la signora capeggia una banda di delinquenti specializzati in trapianti di organi prelevati ad indiani vivi.

Branchie è il romanzo d’esordio di Niccolò Ammaniti. Edito inizialmente dalla Ediesse nel 1994 con il titolo branchie!, viene in seguito ripubblicato, con sostanziali modifiche apportate dall’autore, dalla casa editrice Einaudi nel 1997 con il titolo Branchie. Dal romanzo è stato tratto il film omonimo, diretto nel 1999 da Francesco Ranieri Martinotti e con protagonista il cantautore Gianluca Grignani.

Il delirio onirico di un giovane Ammaniti

Ammaniti scrive ‘Branchie’ durante gli anni dell’università. Nonostante si parli del tema delicato di un giovane malato di cancro, non aspettatevi pagine strappalacrime. Questo libro è tutt’altro. È la quintessenza del delirio allo stato puro. È un viaggio surreale, onirico, ammantato di black humor e scevro di qualunque venatura politically correct. Il getto di inchiostro arriva dritto al cervello mentre l’autore – un Lewis Carroll strafatto di ‘tramezzini ripieni di baccalà, broccoli, maionese e cipolle al curry’ (di cui parla all’inizio…n.d.r.) scrive un concentrato di storie al limite dell’assurdo, noncurante di piacere al lettore. Lo fa con naturalezza. Il suo è un viaggio sfrontato in terre concettualmente inesplorate. Segue il flusso della coscienza lasciando che il lettore si faccia trascinare da quella corrente mnemonica senza la pretesa di una guida o una (il)legittima spiegazione. Perché quel che accade non ha un’esegesi degna di questo nome: tra la fantascienza e il thriller, succede di tutto e di più. Marco diventa un eroe per caso, in un mondo fondato sulla falsità, sulla finta moralità, in un’atmosfera visionaria.

Stranezza x stranezza = stupore

Con l’avanzare del racconto, il romanzo perderà ogni legame con il reale e seguiremo le vicende talvolta stupiti, altre volte incuriositi, ci chiederemo come sia stato possibile finire in questo mix di aspetti inverosimili e per certi versi anche demenziali. La stranezza si moltiplica per se stessa e quando penseremo di aver raggiunto l’apice della paradossalità, ecco che fa capolino un ulteriore fattore, ancora più illogico, qualcosa che ci farà spalancare gli occhi e/o magari sorridere dallo stupore. Ammaniti non cerca mai di raddrizzare la storia sul tracciato della razionalità, se ne frega, e noi con lui. Anzi, amplifica la potenza della stramberia, alza il volume, stordisce con l’incredibile. È come se l’ispirazione gli fosse arrivata simile ad un pugno in faccia, dopo un sogno angosciante. Immagini sconnesse, situazioni improbabili, sono gli epistili del suo tempio letterario. Il segno dell’irreale dominerà l’opera fino alle pagine conclusive per poi lasciarci preda di dubbi e interrogativi. Il finale aperto permetterà al pubblico di dare un proprio senso a quanto letto, secondo quelle che sono le proprie interpretazioni. 

Un vero spasso!

“Nella vita è necessario trovare sicurezze, punti saldi. Amore e amicizia sono i sentimenti che ci distinguono dagli animali e ci fanno apprezzare la vita. In questo universo del cazzo sono i valori che permettono a milioni di persone di farsi il culo tutti i giorni ed essere felici di tornare a casa la sera sapendo di trovare qualcuno”.

In ‘Branchie’ vi si possono scorgere contaminazioni di moltissimi generi diversi, che, uniti, lo rendono un’opera unica: fumetto, videogioco, fiaba e romanzo di denuncia sembrano mischiarsi in vortice folle e caotico. I personaggi sono sopra le righe, caricaturali: Ammaniti sceglie per loro delle caratteristiche che accentua fino al limite della verosimiglianza. I luoghi hanno tratti magici. Ciò che emerge prepotentemente nella narrazione è, senza dubbio, il ritmo incalzante della storia che, unito a colpi di scena in sequenza, rende appassionanti le disavventure senza fine del protagonista. Un romanzo dall’assoluto gusto pulp. Forse non è il migliore dell’autore ma sicuramente il più allucinato e bizzarro. Ammaniti frulla tutto. Si tratta di un Ammaniti giovane, cannibale, logorroico, crudele e sadico, coinvolto in una narrazione escatologica. Si tratta di un divertissement, più che di una riflessione ben precisa su un tema in particolare, nonostante la malattia, l’importanza dell’amicizia e dell’avere uno scopo per dare un senso alla vita. Il destino di Marco, la sua fine fantascientifica non sono che una riprova di come all’autore non interessi comunicare qualcosa di reale, sensato. C’è piuttosto il desiderio di colpire, spaventare il lettore, suscitare una forma di repulsione. ‘Branchie’ si legge tutto d’un fiato, senza troppe pretese. Consigliato a chi ama l’autore e il pulp (a fiumi). Si astengano, invece, i sensibili.

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