La storia di Alex, teppista sempre pronto a usare il coltello, capo di una banda di “duri” con i quali ripete ogni sera, sui marciapiedi dei sobborghi, il gioco della brutalità. È lo stesso Alex, protagonista, la voce narrante del romanzo. Quindicenne, amante della musica classica e della violenza. Il giovanissimo, assieme ai suoi drughi (Pete, Georgie e Dim), passa le serate al Korova Milk Bar, dove i frequentatori bevono latte+, ‘rinforzato’ con mescalina e altre sostanze stupefacenti. Fatto il pieno, vagano per la città compiendo furti, pestaggi, abusi sessuali di una crudeltà estrema.
“Il mio eroe, o antieroe, Alex – ha scritto Anthony Burgess – è veramente malvagio, a un livello forse inconcepibile, ma la sua cattiveria non è il prodotto di un condizionamento teorico o sociale – è una sua impresa personale in cui si è imbarcato in piena lucidità. La mia parabola, e quella di Kubrick, vogliono affermare che è preferibile un mondo di violenza assunta scientemente a un mondo programmato per essere buono od inoffensivo…Arancia meccanica doveva essere una sorta di manifesto sull’importanza di poter scegliere”.
‘Aranica Meccanica’ è un romanzo fantapolitico dello scrittore britannico Anthony Burgess del 1962. Riadattato per il grande schermo, Stanley Kubrick ne trasse la celeberrima versione cinematografica Arancia meccanica, distribuita negli Stati Uniti nel 1971 e nel resto del mondo nel 1972. Prima ancora del film di Kubrick, il romanzo ha goduto di un ulteriore adattamento intitolato Vinyl, diretto nel 1965 da Andy Warhol, ma ispirato molto più liberamente al libro rispetto alla successiva versione.
Il titolo
L’iconico titolo del romanzo, secondo quanto affermato da Burgess, era tipica dello slang cockney (il dialetto dei londinesi): «sballato come un’arancia meccanica» (oppure «a orologeria», altra traduzione possibile). L’autore pensava che l’espressione potesse essere erroneamente utilizzata per riferirsi a una persona che reagisce meccanicamente (in malese orang significa persona). In una lettera scritta al Los Angeles Times, Burgess affermò che il titolo e il tema dell’opera prendevano spunto da un grave episodio in cui fu coinvolto lo scrittore, allora residente a Giava. La sua compagna fu pestata e violentata da un gruppo di soldati americani ubriachi.
Inno alla libertà di scelta
Burgess ci conduce nel mondo crudele di Alex, un giovanissimo criminale a capo di una banda di teppisti, amante di quella che nel contesto narrativo è violenza gratuita, ma che assolutamente non lo sarà per il lettore più esperto. Alex è un personaggio unico. Il processo di immedesimazione con lui è automatico e accelerato grazie alla intelligente scelta stilistica dell’autore. Non solo Alex è anche il narratore, ma si esprime con un colorito gergo da strada, che inizialmente potrà sembrare difficilmente comprensibile per poi rivelarsi del tutto efficace.
“Arancia meccanica” è un manifesto a supporto della nostra libertà di scelta. Ognuno di noi ha in mente una condizione spesso utopica dell’umanità, ma se tale utopia venisse imposta, plasmata in realtà con la forza, resterebbe comunque tale? Alex è profondamente malvagio eppure, quando viene depauperato proprio della possibilità di cernita, allora sentiamo una sorta di senso di ingiustizia. Alex non potrà più fare male e neppure scegliere tra il bene e il male. Alex è derubato della propria umanità ma la sua anima crudele, la sua mente distorta, restano le stesse, seppur incatenato ad una situazione che non gli permette di nuocere. E l’interrogativo è uno solo: non è ancor peggio non avere scelta che averla e compiere atti disumani? Non è peggio ‘non essere’ che ‘essere cattivo’?
“Un uomo che non può scegliere cessa di essere un uomo”, afferma lo stesso Burgess. Perché l’uomo è tale in quanto essere dotato di libero arbitrio e destinato alle conseguenze delle opzioni che pratica, siano esse punizioni o elogi. La vera violenza, la più crudele è quindi quella di ridurre un uomo ad un automa, ad una ‘arancia meccanica’. E Alex diventa l’agnello sacrificale, emblema delle torture che mutilano psicologicamente l’uomo.
L’importanza del linguaggio
Come anticipato, il linguaggio è una componente fondamentale del romanzo di Burgess. Neologismi, assonanze, onomatopee, crasi con una sintassi e un lessico eccelsi. Il delirio sociale, il nichilismo, sono narrati in maniera straniante e ammiccante al contempo. Burgess riesce nel compito di fare amicizia con il lettore e il ritmo incalzante non lascia spazio e tempo per distogliere gli occhi dalle pagine dense di efferatezze perniciosamente umane. Il ciangottare di Alex è qualcosa che ti assorbe totalmente. Uno stile unico, inconfondibile, una visionarietà raramente riscontrata in altre opere e in altri autori. L’idea sottesa alla narrazione è incisiva e studiatamente costruita con toni sopra le righe, cavalcando con abilità il sottile confine tra finzione e realtà, assurdo e probabile, lecito e illecito, il tutto raccontato con un linguaggio creato ad hoc, capace di rompere anch’esso gli schemi della normalità.
“Anche le gazze erano vestite alla novellissima foggia, con parrucche viola e verdi e arancioni sopra il gulliver: ognuna, mi dava l’idea di costare almeno tre o quattro settimane della loro paga, in più avevano il trucco in tinta (ossia l’arcobaleno intorno ai glassi e la brotta pittata in lungo e in largo)”.
Un capolavoro terribilmente attuale
Ogni tassello dell’opera di Burgess, dalla nitida ultraviolenza alla sua concezione, dal gergo di Alex e dei suoi sodali, alle tematiche affrontate, da quell’orrore incomprensibile e che invece viene compreso, fino all’empatia avvertita per quei ‘migni martiri’ fanno di ‘Arancia Meccanica’ un capolavoro, un cult di melassa e strazio senza fine. Immortale e sempre attuale ad oltre 60 anni dalla sua pubblicazione, per ‘Arancia Meccanica’ è impossibile invecchiare. Un viaggio complesso nella mente umana, adatto a chi non ha paura di alienarsi.