Cassino – Era il 23 agosto scorso. Una sera che sembrava come tante che però si è trasformata in tragedia. Antonio Di Biasio, classe 1969, informatore medico, era andato a fare una corsetta prima di cena. A casa lo aspettavano la moglie Sara Saroli e il figlioletto Giuseppe. A poca distanza dalla sua abitazione, Antonio è stato colto da un malore fatale, si è accasciato a terra ed è deceduto.
Un mese è inesorabilmente trascorso da quel giorno. I familiari, gli amici, i colleghi arbitri non riescono a darsi pace. A 30 giorni dal suo decesso improvviso, l’amata moglie Sara ha affidato tutto il suo dolore ad un lungo post pubblicato sul suo profilo social. Parole toccanti, di dolore misto a risentimento. Perché forse per salvare Antonio Di Biasio non è stato fatto abbastanza. O forse nulla sarebbe servito ma questo – come sottolinea Sara – nessuno lo saprà mai. Riportiamo integralmente il messaggio pubblicato dalla donna.
Il toccante messaggio di Sara per il suo Antonio
“Lasciatemi qui, faccio una corsetta e ci vediamo a casa!”
“Papà dicci a che ora finisci e veniamo a prenderti!”
“Ma no, iniziate a preparare la cena, vi raggiungo tra poco e ceniamo insieme”.
Mancava poco alle 20 quando, di ritorno dal paese, si fece lasciare sotto il ponte della SKF per la solita corsetta lungo fiume, un rituale di quasi tutte le sere. E mentre facevo cenare Giuseppe, io lo aspettavo per cenare insieme. Il piccolo dormicchiava sul divano ed io verso le 22 iniziavo a domandarmi perché non tornasse. Attesi fino alle 22:30 e mi affacciai sul balcone con la speranza di vederlo arrivare. Era buio ma la luce dei lampioni mi avrebbe aiutato a vederlo; d’un tratto però vidi una macchina seguita da un’altra macchina con i lampeggianti, credevo fosse la polizia che avesse acciuffato un ladro e immediatamente tornai dentro casa. Ma un flash mi mise ansia e tremante mi dicevo: ma non è che stanno cercando me? Contai fino a cinque, il tempo necessario per arrivare a suonare il citofono e mentre contavo pregavo di poter contare ancora e invece…il citofono suonò, erano i carabinieri che cercavano i documenti. Gelai e intanto suonai al portone di mia cognata, avevo bisogno di aiuto, non capivo cosa stesse accadendo e quegli uomini sulle scale dicevano di non sapere nulla e che non dovevamo fare domande. Messo al sicuro mio figlio, in un attimo presi i documenti e con mia cognata e cognato seguimmo i carabinieri credendo di dover andare in ospedale oppure che, tante volte, avesse litigato con qualcuno…Ma veramente a pochissima distanza da casa la fila di macchine incolonnate lasciava intendere ad un brutto incidente.
Erano circa le 22:45 Mio cognato superò la fila incolonnata e si fermò, là dove una persona a terra coperta da un telo argentato giaceva. C’era tanto silenzio intorno, erano tutti fermi. Non c’era nessuna ambulanza, nessuno accanto al mio Antonio. Nessun cuscino a sostenere il capo, i piedi sul marciapiedi e il corpo che occupava metà carreggiata. Lui era là esanime sull’asfalto senza nessun segno amorevole di chi almeno avrebbe potuto farcelo trovare diverso da un cane morto sull’asfalto. Io e Annamaria lo abbiamo scoperto, lei lo abbracciava io incredula ho poggiato le mie mani sul suo petto ma un uomo mi ha detto: “Non serve, hanno fatto tutto ma se ne sono andati poiché non c’è più nulla da fare”. Che disperazione, che momenti terribili che mai dimenticheremo! E in mezzo a tanto dolore un angelo ha colto la nostra disperazione e delicatamente ci ha chiesto se avessimo voluto portarlo nella sezione degli arbitri, proprio là dove aveva coltivato per anni la passione del calcio a 5.
E mentre la cena che avevo preparato era pronta in tavola, io mi sono trovata a dover scegliere una bara, a dover prendere un abito elegante per l’estremo ultimo saluto. Nella sezione abbiamo vegliato per 3 giorni il nostro amato Antonio senza mai lasciarlo ed il conforto di tutti ancora è tangibile. Ma io e Annamaria nei giorni successivi non riuscivamo ad avere pace. Avevamo sete di verità, dovevamo ricostruire quel tratto di strada, dovevamo dare un senso al tempo per trovare la forza di andare avanti nonostante tutto ma nella verità. Lanciai un appello su un gruppo di Cassino, ero certa di riuscire ad arrivare nel cuore della gente. Venni inondata da una marea di messaggi cui ancora fatico a rispondere ma credetemi è stato incredibile il coinvolgimento di tantissime persone. Con Annamaria e un’amica abbiamo incontrato le persone “cruciali” e in preda a tante emozioni contrastanti abbiamo ricostruito tutto. Nessuno dei presenti era a conoscenza di manovre di primo soccorso. Nessuno dei presenti ha avuto il coraggio di girare il corpo di Antonio che purtroppo accasciandosi a terra era in posizione prona (pancia in giù). Non abbiamo risentimenti verso nessuno dei presenti ma quello che fatichiamo a digerire è quel ritardo inammissibile di un’ambulanza partita da Atina con galleria chiusa quando l’ospedale distava solo tre minuti. Non deve succedere a nessuno che potendo avere una sola possibilità di farcela essa gli venga negata. Forse Antonio sarebbe morto anche se si fosse trovato in ospedale (non lo sapremo mai) ma è normale che Cassino resti scoperta di ambulanze poiché quelle a disposizione sono insufficienti?. – Prosegue il testo del post.
L’appello
E a quella ragazza giovanissima che alle 21:33 ha chiamato il 118 ho chiesto alla fine del suo racconto: “Che idea ti sei fatta dell’accaduto?”. Lei mi ha risposto così: “Purtroppo è capitato nel posto sbagliato nel momento sbagliato, con le persone sbagliate”. Per non rendere vana questa morte, per dare un senso a questo dolore che attanaglia le nostre vite per favore, ci aspettiamo che tutti vedano un tutorial oppure facciano un corso sulle manovre di primo soccorso; che il sindaco di questa città domani prenda il telefono e faccia la sua parte; non può essere che un suo cittadino sia stato soccorso da un’ambulanza arrivata troppo tardi. Che i vertici dell’Ares trovino altre strategie per mettere tutti in sicurezza. Quando l’ambulanza non c’è, deve scattare un piano B e cioè che un medico o un infermiere prendano una fottuta macchina Asl e si rechino sul posto in attesa di quella fottuta ambulanza .
E a te che non ci sei più…non so cosa ci riserverà la vita ma alla vita saremo sempre grati poiché ti abbiamo conosciuto. Sara e Giuseppe”.