Aveva fatto irruzione nel consiglio comunale di Cassino chiedendo aiuto al sindaco Enzo Salera. Era la sera del 6 ottobre e il giovane richiedente asilo proveniente dall’Africa e di madrelingua francese, gridando e implorando, aveva chiesto di poter essere ricevuto dal primo cittadino che con l’aiuto del consigliere comunale Laura Borraccio che parla francese, era riuscito a raccogliere la denuncia del giovane che parlava di continui maltrattamenti al quale veniva sottoposto all’interno di una casa famiglia situata in una zona periferica della città.
Una denuncia accorata che venne accolta e si mobilitarono anche i servizi sociali. Ma il giovane – che si chiamava Sylla Ousmane – ha deciso di lasciarsi morire e prima di commettere l’insano gesto ha scritto sul muro del centro di accoglienza, nel quale era rinchiuso dallo scorso 27 gennaio a Roma, una frase struggente: “Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”.
Sylla era arrivato in Italia da minorenne, sei anni fa, ed era stato ospitato prima in una comunità per minori a Ventimiglia, poi in una casa famiglia a Sant’Angelo in Theodice, una frazione di Cassino. In Guinea ha lasciato la madre e il padre, due sorelle e due fratelli. Secondo i racconti fatti dai compagni, il ragazzo aveva scritto il messaggio sul muro sabato pomeriggio, poi la domenica all’alba si è messo a pregare, quindi si è impiccato usando un lenzuolo come cappio intorno alle 4.30.
Sylla Ousmane è stato ritrovato dagli altri ragazzi, che hanno provato a rianimarlo e hanno chiamato i soccorsi, ma non c’è stato niente da fare. All’interno del centro di detenzione non è permesso avere smartphone e i telefoni fissi non funzionano, quindi è molto complicato chiedere aiuto in caso di necessità. Secondo il racconto dei ragazzi, è arrivata prima un’infermiera e poi un’ambulanza, ma non è servito. Subito dopo nel centro è scoppiata una rivolta e sono intervenute le forze dell’ordine, facendo ricorso ai lacrimogeni. Secondo fonti interne, la struttura è stata pesantemente danneggiata.
“Gli ultimi quattro mesi della sua vita Ousmane Sylla li ha passati in due Cpr”, ha ricostruito l’associazione Naga di Milano. Prima era stato rinchiuso nel Cpr di Milo a Trapani, dov’era entrato lo scorso ottobre. In seguito alla rivolta scoppiata la scorsa settimana nella struttura siciliana, era stato trasferito nel centro di Ponte Galeria, a Roma. Era arrivato il 27 gennaio ed era stato sottoposto a tutti i controlli di routine.
Sylla era entrato nel Cpr di contrada Milo, a Trapani, il 14 ottobre, e aveva dato segnali di disturbi mentali, che erano stati evidenziati da una psicologa del centro e poi dall’avvocato assegnato d’ufficio, Giuseppe Caradonna. Il legale non era riuscito a vederlo, ma aveva scritto un’email al questore il 14 novembre, riportando lo stato di salute psicofisica del ragazzo e dicendo che non era idoneo a essere trattenuto in quel tipo di centri. Presumibilmente la famiglia del ragazzo non è stata ancora avvertita dell’accaduto: è stata informata l’ambasciata del paese d’origine, che dovrebbe contattare i familiari.