Dopo la manifestazione di fine gennaio che ha visto gli agricoltori e gli imprenditori locali del settore unirsi alle proteste che si stanno svolgendo in tutta Italia contro le politiche dell’Unione Europea che impongono norme comunitarie non adeguate e che stanno mettendo ulteriormente in ginocchio l’imprenditoria agricola, non solo nazionale, la mobilitazione si è spostata con un presidio allestito presso il parcheggio poco più in là del casello autostradale di Ferentino. A turno, le pattuglie della Polizia di Stato e dei Carabinieri piantonano la dimostrazione pacifica, al fine di garantire l’ordine pubblico.
Nel piazzale sono posteggiati i mezzi agricoli con i diversi messaggi di protesta, nei dintorni gli agricoltori e gli allevatori Ciociari, coloro che ancora intravedono un futuro nell’agricoltura praticata con amore e passione. Da Alatri, Ferentino, Anagni, Supino, Morolo, Ceccano, insomma le imprese del settore dell’area nord della provincia manifestano contro le politiche UE che stanno eliminando dalle nostre tavole i prodotti della terra Italiana per sostituirli con la carne sintetica, i preparati con farine alternative, i cibi realizzati in laboratorio. E poi l’impennata dei costi delle utenze, la rimodulazione delle agevolazioni sul carburante, il prezzo della materia prima retribuito al produttore sempre più a ribasso. La grande distribuzione ha ridotto i prezzi all’inverosimile, all’origine la merce viene pagata pochissimo. Inoltre importiamo dall’estero prodotti di qualità inferiore, trattati con agenti chimici vietati nella nostra nazione.
Le aziende ciociare sono in gravi difficoltà, è un settore “in estinzione”, un patrimonio che rischiamo di perdere definitivamente, senza agricoltura non c’è futuro. A Ferentino è rimasta una sola stalla, stessa cosa a Morolo, a Sgurgola: nel corso degli anni la politica non ha mai lavorato a favore degli agricoltori, molte aziende hanno dismesso tutto, quelle che restano aperte cercano di recuperare il debito per non chiudere in passivo. Da Monza, una ragazza di soli 25 anni manifesta accanto a suo marito per rappresentare l’azienda agricola “Modica” di Ferentino, come scritto la sola stalla rimasta nel territorio comunale «Ho sposato mio marito e la sua attività: abbiamo circa 600 capi tra vitelli e manzi, il latte che produciamo viene in una minima parte lavorato dalle aziende locali, il resto comprato dalla grande distribuzione a pochi spicci. La responsabilità è anche nostra, della popolazione: dobbiamo imparare a valorizzare i frutti della terra e chi li produce: quando facciamo la spesa dovremmo prestare attenzione all’etichetta, ovvero alla provenienza, alla qualità, alla filiera».
Le testimonianze
Leonello Viti di Anagni ha 81 anni, si sveglia tutte le mattine alle 05:00 per andare nella stalla della famiglia, un’attività a carattere familiare condotta con il figlio di 50 anni ed il nipote di 21 anni, un giovane che crede nel potenziale dell’agricoltura: anche qui si allevano vacche per produrre circa 90 quintali di latte al giorno. L’azienda è interamente robotizzata «La tecnologia non ci spaventa, è la politica che ci continua a segare le gambe. La tecnologia ci aiuta, sostituisce la manovalanza, nessuno vuole più lavorare nel settore agricolo». Il signor Leonello continua «Abbiamo paura, una paura dovuta all’incertezza del futuro: tanti sacrifici, tante fatiche, niente ferie, niente malattia, niente festività, per fare cosa? Se poi arriva la politica e non ci permette di andare avanti? Oltretutto una vita dedicata all’attività per avere poi una pensione di circa 700euro. Siamo demoralizzati, non abbiamo stimoli per andare avanti. E forse è proprio questo lo scopo, quello di farci abbandonare in maniera definitiva la nostra terra per mangiare il sintetico o la carne vegetale oppure stampata in 3D. Chi produrrà il latte per nutrirci e ricavarne i derivati? Importeremo il “latte fresco” dalla Cina?».
Luca Lisi, 45 anni di Alatri, nella sua azienda agricola alleva pecore da carne: «Non lavoro più il latte perché la filiera è troppo complicata, non riesco a coprire tutti i costi di gestione. Noi siamo solo agricoltori e chiediamo di riuscire a ricavare uno stipendio dal nostro lavoro. Non ce la facciamo più, non riusciamo a guadagnare, a fine mese l’utile non c’è. Tante aziende sono in difficoltà, tra tasse e costi di gestione sempre più esosi, vanno avanti per recuperare il debito, per evitare di chiudere in passivo rischiando che le banche ci pignorino quel poco che abbiamo». Luca è determinato, come i colleghi intende difendere la sua identità: «Continueremo con la nostra protesta, pacifica, in tutta Italia, siamo pronti ad andare avanti fino a quando il governo non ci darà risposte concrete. Oltre a richiamare l’attenzione della politica è necessario sensibilizzare i consumatori affinché comprino i prodotti locali, quel made in Italy che non ha concorrenza nella qualità, nel sapore, nelle caratteristiche, il made in Italy che tutti, nel mondo, provano a copiarci. Impariamo ad apprezzare i frutti della nostra terra, dei nostri allevamenti, della nostra produzione».
Con l’auspicio che le istituzioni vorranno intraprendere iniziative mirate a rivedere le politiche dettate dall’UE, un’Europa che ci sta rendendo sempre più schiavi di interessi che non ci appartengono per allontanarci da quelle attività che costituiscono le nostre vere radici, radici che affondano nella terra, da sempre. Perché sradicarle adesso? Ci piacerebbe che accanto agli agricoltori scendessero in campo anche i sindaci, gli amministratori locali, gli avvocati, i notai, i docenti delle scuole, i dirigenti delle fabbriche e gli operai, i medici e gli infermieri, gli esercenti commerciali, gli impiegati, gli operatori ecologici, le casalinghe, i tutori dell’ordine: questa protesta non può riguardare solo agricoltori ed allevatori, la terra dà da mangiare a tutti, indistintamente. Se “chiude” l’agricoltura perderemo il nostro patrimonio più prezioso quando invece l’agricoltura è la più inestimabile delle eredità, da tramandare alle nuove generazioni e non può essere “insultata” da falsi burocrati.