Italia 2024, siamo improvvisamente più spreconi, a tu per tu con il cibo. Si passa da 75 a quasi 81 grammi di cibo buttato ogni giorno pro capite nelle nostre case (80,9 grammi, per l’esattezza) e da 524,1 grammi settimanali nel 2023 a 566,3 grammi settimanali nel 2024. Si tratta dell’8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa. Nel 2024 in Italia lo spreco alimentare costa ca 290 euro annui a famiglia, circa 126 euro pro capite ogni anno. Si spreca di più nelle città e nei grandi Comuni (+8%) e meno nei piccoli centri, sprecano di più le famiglie senza figli (+3%) e molto di più i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%). Si spreca di più a sud (+4% rispetto alla media nazionale) e meno a nord (-6% rispetto alla media). Vale oltre 13 miliardi di euro, per l’esattezza 13.155.161.999 lo spreco complessivo di cibo in Italia: un dato vertiginoso che include lo spreco a livello domestico – che incide per oltre 7miliardi e 445 milioni), quello nella distribuzione che vale circa la metà (quasi 4 miliardi di euro, per la precisione 3 miliardi e 996 milioni), oltre allo spreco in campo e nell’industria, molto più contenuto.
Il caso Italia
Questa la fotografia dello spreco raccontata dal Rapporto ‘Il caso Italia’ dell’Osservatorio Waste Watcher International. Ma la questione davvero allarmante è legata all’allarme sociale che emerge da un quadro di forte incertezza generale: lo testimoniano i dati che per il primo anno Waste Watcher International analizza sul piano della sicurezza alimentare in Italia usando l’indice FIES (Food Insecurity Experience Scale), che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente.
Se la scelta ricade sul discount
Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione!, dati Istat) presenta un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana. Si aggiunga a questo quadro che 1 consumatore su 2 a basso potere d’acquisto (ceto popolare) cerca cibo a ridosso di scadenza per risparmiare, e che il 41% sceglie il discount a scapito del negozio sotto casa o del supermercato, il 77% ha intaccato i risparmi per fare fronte al costo della vita, il 28% ha tagliato ulteriormente il budget per la spesa alimentare.
Il Rapporto Waste Watcher ‘Il caso Italia’ è realizzato per la campagna pubblica di sensibilizzazione Spreco Zero su monitoraggio Ipsos/Università di Bologna Distal, per la direzione del professore di economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile Andrea Segrè, ordinario all’Università di Bologna, e per il coordinamento del docente Unibo Luca Falasconi. La presentazione è stata introdotta nello Spazio Europa da Fabrizio Spada, Responsabile relazioni istituzionali del Parlamento europeo in Italia, che ha ricordato l’impegno della UE sul versante della prevenzione dello spreco alimentare, sottolineando la corrispondenza registrata nei nuovi dati Waste Watcher fra crescita dell’inflazione e risalita dello spreco alimentare. Mentre Massimo Pronto, Responsabile comunicazione della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, ha sottolineato l’importanza di confrontarsi con gli altri Paesi europei su questi temi per condividere politiche comuni.
“Il cibo scadente fa aumentare lo spreco”
“Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura – rileva il direttore scientifico Waste Watcher, Andrea Segrè – perchè ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio, e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente. Se vogliamo davvero “fare la differenza”, come chiede il claim dell’11a Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, l’azione deve essere sinergica e servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con un focus particolare sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili”.
C’è chi si butta sulle offerte e chi autoproduce
L’effetto inflazione comporta scelte eloquenti e l’acquisizione di nuove abitudini alimentari che non vanno necessariamente in direzione di una migliore alimentazione media. Qualche esempio: 1 consumatore su 2 (49%) dichiara dii potenziare l’acquisto di cibo online, oltre 1 consumatore su 3 (39%) si butta sugli alimenti in promozione, e oltre 1 consumatore su 3 decide di autoprodurre il cibo (38%). Nella hit delle nuove scelte di acquisto l’attenzione si rivolge con più determinazione verso l’acquisto del cibo a ridosso di scadenza (32%), sceglie di privilegiare i discount per la sua spesa (32%) e di rifornirsi di legumi e derivati vegetali, a scapito del consumo di carne (31%).
Troppo costoso il cibo bio
Perde terreno il cibo biologico, spesso troppo costoso per un ridotto potere d’acquisto (7%) e perdono terreno le grandi marche (11%). Si spreca soprattutto la frutta fresca, che svetta fra gli alimenti più gettati nell’ultima settimana media dei consumatori (25,4 grammi), seguono cipolle aglio e tuberi ma anche il pane fresco (20,1 grammi), le insalate (13,8 grammi) e le verdure (13,2 grammi). – Fonte www.dire.it –