Alatri – A sei giorni dall’omicidio di Thomas Bricca ancora nessuna svolta sul fronte delle indagini. Gli interrogatori vanno avanti, nella caserma dei carabinieri di Alatri è un via vai di testimoni ma nulla trapela dagli inquirenti.
Domani sarà una settimana esatta dal giorno del delitto. Erano circa le 20 di lunedì 30 gennaio quando i due sicari – sembrerebbe due soggetti appartenenti ad una famiglia rom – sono arrivati sotto al belvedere del “Girone” a bordo del T-Max scuro non ancora ritrovato. Thomas era seduto lì con alcuni amici. Uno dei ragazzi a bordo dello scooter è sceso. Impugnava una pistola. Ha sparato. Tre i colpi esplosi – almeno questo quanto emerso fino ad ora – uno ha centrato Thomas alla testa. L’altro ha sfiorato il ragazzino che era con lui, un 13enne, andando a vuoto insieme al terzo colpo. Thomas si è accasciato a terra. I due killer sono ripartiti a folle velocità. Nel frattempo le grida disperate d’aiuto, la chiamata ai soccorritori.
Chi era lì con Thomas ha raccontato di lunghi, interminabili, minuti nei quali il 19enne stringeva loro la mano. Poi il buio. L’arrivo dei sanitari del 118, la corsa al San Benedetto di Alatri ed il trasferimento al San Camillo di Roma dove Thomas si è spento mercoledì 1 febbraio. Da quel momento Alatri è piombata nel dolore.
Nessuna omertà
Gli amici di Thomas Bricca, tra i primi, hanno raccontato tutto quello che sapevano. In molti hanno fatto i nomi di quello che sarebbe il mandante, di chi avrebbe fatto da tramite con i due sicari e della famiglia rom che spesso era solita intervenire quando c’era da fare il “lavoro sporco”. Un clima di minacce, vessazioni, violenze che andava avanti ormai da mesi. Poi le risse del fine settimana scorso e l’epilogo di lunedì con la morte di Thomas. Ancora da capire se si sia trattato di un “avvertimento” finito male ma certo chi ha sparato, tre colpi, in pieno centro, non poteva non aver messo in conto che qualcuno potesse essere centrato. È toccato a Thomas e chi lo conosceva bene, sin dai primi istanti, ha ribadito fermamente che quel colpo non fosse indirizzato a lui.
Era per Omar un ventenne di origine magrebina, nato e cresciuto ad Alatri. Un amico di Thomas. Lo aveva detto anche Nidhal che, insieme a Lorenzo, Michele, Davide ed Adem, in esclusiva alle nostre telecamere, aveva raccontato tutta la sua verità. “Non era lui il bersaglio – avevano detto i ragazzi all’unisono – volevano sparare ad un nostro amico, un ragazzo magrebino, che era dietro di lui perché nel fine settimana, dopo le risse, aveva provato a ribellarsi. Thomas si è accasciato proprio sopra di lui dopo lo sparo. Poi sono fuggiti convinti di aver preso quello giusto. Ci hanno portato via il sorriso di un amico. Thomas poteva essere ognuno di noi. Era lì al momento sbagliato”. Lo stesso Omar avrebbe poi ammesso che il bersaglio sarebbe dovuto essere proprio lui. Ad Alatri nessun silenzio, nessuna omertà. Tutti hanno parlato, hanno raccontato la loro verità. Gli inquirenti stanno passando le testimonianze al vaglio, alla ricerca di prove e riscontri.
Gli amici di Thomas, i genitori, i familiari e la comunità di Alatri chiedono giustizia. Chiedono che chi ha strappato il 19enne alla vita paghi. A quasi una settimana dal terribile omicidio, però, ancora nessun fermo. Nessuna svolta concreta. Martedì sarà eseguita l’autopsia sul corpo del giovane. Poi la salma potrà essere riconsegnata ai familiari per i funerali, per l’ultimo doloroso addio. La speranza di tutti e dell’Italia intera è che prima di quel giorno, prima dell’ultimo viaggio di Thomas, chi l’ha ucciso sia assicurato alla Giustizia.