Massimiliano Farris è un nome oramai noto a tutti. Il classe 1971, è il vice di mister Simone Inzaghi e siede con lui sulla panchina dell’Inter. Un presente di onori e oneri, nel calcio che conta. La serie A, il blasone nerazzurro della ‘Beneamata’, la Champions, i trascorsi, sempre sottobraccio con Inzaghi, nella Lazio. Farris, però, ha anche un precedente nel nostro territorio, più precisamente a Sora. Nella stagione 2013-14 era infatti l’allenatore dei bianconeri in serie D. Aveva appena lasciato da qualche anno il calcio giocato, ruolo difensore, e aveva iniziato la carriera da tecnico. Nella città bagnata dal Liri ha trascorso il suo ultimo anno come guida nel calcio ‘minore’, ma quelli sono stati mesi che non scorderà mai. Quelli delle grandi difficoltà societarie, quelli che gli hanno insegnato la virtù della forza ad ogni costo, sempre e comunque. Quelli che hanno preceduto la ‘grande svolta’. Sì, perché è proprio qualche settimana dopo l’addio a Sora che Massimiliano Farris inizia il suo cammino con Inzaghi, prima a capo della Primavera biancoceleste, poi nella prima squadra della Lazio. Un cammino ricco di soddisfazioni e che ora vede l’inossidabile coppia alle prese con il ‘Biscione’. Ma Farris non ha dimenticato Sora. E Sora non ha dimenticato Farris, come dimostra il rapporto intatto con tanti tifosi volsci. È proprio lui a parlarcene, a farci ricordare il passato e a farci sognare quel meraviglioso mondo di prima classe che vive ogni giorno, ma sempre con modestia e tanto cuore.
Il ricordo alla guida del Sora Calcio
“Sembra passata una vita…è stata un’annata ricca di problematiche societarie, ma nonostante tutto mi ha lasciato un ricordo indelebile – esordisce il mister -. L’ambiente è rimasto compatto anche di fronte avversità importanti. La passione che ci spingeva ci ha permesso di mantenere una categoria che, in quel preciso momento, era ‘oro’. Ad oggi, in un mondo in cui le difficoltà sono nettamente diverse, mi guardo indietro alla ricerca della forza di quei tempi e ancora attingo a quel fuoco, grazie al quale sono arrivato qui. Avevo un gruppo di ragazzi eccezionali – prosegue -. In quell’anno ho vissuto la città e sono stato molto bene, eravamo molto uniti anche con i tifosi. Ancora oggi qualcuno mi scrive ricordando quella stagione e ciò significa che abbiamo lasciato un bel ricordo, non io esclusivamente come Farris mister, ma tutto lo staff, compresi i collaboratori grazie ai quali abbiamo ottenuto una salvezza insperata, pari ad uno scudetto o una Champions!”.
Simone Inzaghi e la ‘svolta’
“Poi è arrivata la svolta – spiega Farris -, questo percorso incredibile che mi ha visto accompagnare mister Simone Inzaghi, dalla Primavera della Lazio fino in prima squadra e poi oggi all’Inter. Nel frattempo l’entourage si è allargato. Siamo in 8 adesso e un grande pregio dell’allenatore è quello di riuscire a creare sempre un gruppo coeso e un ambiente sereno. Una cavalcata unica che ha segnato la mia vita. Iniziare in serie D e poi ritrovarsi magari sul Camp Nou del Barcellona piuttosto che alla Allianz Arena è qualcosa di indescrivibile. In Europa ho avuto la fortuna di vivere i campi più prestigiosi ma ricordarsi sempre da dove si viene aiuta a capire come superare, con umiltà, le difficoltà che inevitabilmente si presenteranno di volta in volta e che si può sempre arrivare in cima se si crede in ciò che si fa”.
Come è cambiato il calcio e il ruolo del mister
Oramai sono passati 13 anni dalla sua prima panchina, quella del Flaminia, e il pallone, per certi aspetti, è cambiato. Eppure il passato resta quel gran signore che ancora elargisce preziosi insegnamenti…”Il calcio è cambiato nella sua veste pubblica perché è diventato molto ‘social’, così come gli stessi atleti. Ma noto che tatticamente c’è quasi una sorta di ritorno al passato con i tecnici che sempre più spesso chiedono una marcatura ad uomo a tutto campo, si cerca di alzare il pressing – considera Farris -. È difficile innovare bensì si prende spunto. Non parlo di copiare perché ogni allenatore deve capire ciò che serve alla propria squadra. Anche noi siamo partiti con il 4-3-3 della Lazio e poi abbiamo avuto un’evoluzione con il 3-5-2. Contesto chi parla del ‘solito’ 3-5-2 perché negli anni lo abbiamo cambiato tantissimo con l’inserimento delle mezzali, abbiamo alzato i quinti o abbassato i quinti e alzato i terzi, a volte una mezzala diventa trequartista. All’interno dello stesso modulo possono esistere tante varianti. È cambiato il ruolo dello staff. Quando giocavo io c’era un allenatore, forse un secondo, il preparatore atletico e quello dei portieri. Oggi non basta, ci vuole uno team coeso che prepari la squadra in campo, che sia in grado di motivarla e che lavori anche fuori dal rettangolo verde. Affrontare così tante partite richiede molto lavoro e un gruppo numeroso”.
Calcio ed emozioni
Alla nostra domanda sui momenti più emozionanti vissuti grazie a questo sport, l’allenatore racconta: “Sicuramente la prima partita in serie A, l’esordio Palermo-Lazio con Inzaghi in panchina, poi la prima qualificazione in Europa League con la Lazio, la qualificazione e la prima vittoria in Champions sempre con la Lazio con quel 3-1 rifilato al Borussia Dortmund. Le vittorie, la Supercoppa a Milano vinta dall’Inter 2-1 contro la Juventus. Le vittorie sono sempre meravigliose e…ad oggi, un episodio a cui sono davvero legato e che mi riempie di orgoglio è questo: il mio papà è interista e lo scorso anno, quando il sorteggio di Champions ci mise contro il Real Madrid ho potuto fare una cosa per noi speciale e significativa. Da bambino lui mi portò a San Siro a vedere l’Inter, adesso io ho potuto portare lui a vedere Inter-Real di Champions League!”.
Il segreto è la passione
In virtù della sua grande esperienza gli abbiamo chiesto dei suggerimenti per chi si avvicina a questa professione. “Consigli non è facile darne, ma una sola parola mi viene in mente: passione. Ad un giovane che si affaccia a questo lavoro, in qualsiasi categoria, con qualsiasi squadra, che sia un under o una rosa con giocatori formati, direi ‘metti tutta la passione che hai dentro, poi le conoscenze vengono sul campo’. Studiare sì, guardare ogni partita con occhio critico sì, ma la prima cosa è allenare col cuore. Può sembrare banale ma è talmente importante dedicarsi anima e corpo che è l’unica strada che mi viene in mente probabilmente perché è quella che ho percorso io”.
Il saluto di mister Farris al Sora Calcio
Ad oggi il Sora Calcio è molto diverso da quello vissuto nel 2013/14 da Massimiliano Farris. Un’altra categoria, un’altra gestione, ma lo stesso sogno: tornare in categorie che gli competono e vincere. Iniziando magari con il salto in quella serie D che manca da troppo tempo e che Farris conobbe bene. “Sono passati tanti anni da quella stagione ma ancora butto un occhio sui social ai risultati del Sora. Vedo che le cose stanno andando bene, i bianconeri stanno disputando un campionato assurdo con ottimi risultati e spero davvero sia la volta buona. Dei tifosi, del pubblico, ho un bellissimo ricordo: sono stati loro a darmi la forza di non mollare e a spingere tutto il gruppo verso l’obiettivo salvezza. Proprio a loro voglio rivolgere un saluto particolare e un immenso abbraccio virtuale. Con tanti sono rimasto amico e gli resto vicino anche da Milano: forza Sora sempre!”.