Abbiamo perseverato nel portare avanti l’unica cosa veramente sbagliata che non avremmo dovuto realizzare, specialmente dopo la lezione del Covid: continuare a togliere soldi al servizio sanitario pubblico, dandone di più ai privati. Che pure a dare risposte alle emergenze non ci hanno mai pensato: troppo costoso e troppo rischioso. Salvo interferire in qualche maniera nelle scelte politiche. Le lobby pesano. Sempre. A differenza degli interessi di chi cerca cure ed è sottoccupato, disoccupato, pensionato. Siamo rimasti sempre più soli, con meno medici, sanitari e ospedali che potessero soccorrerci nei momenti peggiori. Ammesso che, giungendo nelle corsie rimaste ad accoglierci, si avesse la fortuna di esser valutati per la gravità effettiva del caso e assistiti di conseguenza. Fortuna che è mancata allo studente universitario di origini ghanesi che s’è presentato, dopo una caduta dal monopattino, al Santa Scolastica di Cassino.
La morte di Charles è uno di quegli eventi drammatici che col buon senso, di fronte ai disastri dello smantellamento suicida delle strutture pubbliche, ognuno avrebbe potuto pronosticare. Prima o poi, sarebbe successo. Prima o poi, potrebbe ricapitare. Prima o poi, arriverà qualcuno che rimedierà. Ma intanto, Charles è stramazzato al suolo, in quel lago di solitidine disperata che nasce quando si crede d’aver raggiunto la salvezza e, invece, la vita si spegne proprio mentre s’è aggrappati con le ultime forze alla scialuppa della sopravvivenza. Roba da naufraghi, per mare o per terra non cambia se la desolazione, comunque, ti circonda. Magari parti da un Paese dell’Africa scalcinata, insanguinata e depredata ma, all’ultimo respiro, capisci d’essere finito in un posto non troppo migliore, in fin dei conti.
Dal 2010 solo tagli alle strutture pubbliche e ai posti letto per acuti
Il definanziamento della sanità pubblica frusinate iniziò con la stagione della governatrice Renata Polverini ed è giunto in caduta libera, senza soluzioni di continuità e senza distinzioni di colori politici, fino al fallimento sanitario dell’era del governo di Nicola Zingaretti, al di là della potente macchina propagandistica a favore della sanità territoriale mai decollata e del taglio degli ospedali di prossimità e dei posti letto per acuti accusati di essere solo uno spreco. Il tutto mentre stuoli di sindaci irresponsabili scodinzolavano ad ogni passerella dei referenti regionali negli ospedali rimasti in piedi. Il presidente Francesco Rocca ha ereditato quel che era nascosto sotto la superficie: una montagna di debiti nonostante i tagli alla salute pubblica della provincia di Frosinone effettuati ostinatamente dal 2010 ad oggi.
Intanto, mentre il format del potere è stato non da oggi quello di raccontarci di conti pubblici messi a posto in varie maniere, affonda nella realtà quel che resta dei livelli essenziali di assistenza. Con la complicità dei tanti che sanno e si voltano dall’altra parte, mentre tacciono in molti casi pure i sindacati e le stesse organizzazioni a tutela dei cittadini. Così, perfino la promessa del Dea di secondo livello per lo Spaziani è rimasta una fandonia, stessa cosa per i Dea di primo livello a Cassino e Sora scritti sulla carta, perché la realtà è che la pelle, oggi, la si salva con maggiore probabilità se si abita al nord della provincia. Nel Sorano e soprattutto nel Cassinate risiedono quelli che, a loro insaputa, rischiano di non farcela coi tempi a raggiungere un centro salvavita. La scaramanzia diventa l’unica pratica a portata di mano.
Il divario tra residenti in aree con diverse probabilità di guarigione
Perché l’organizzazione è passata da un sistema reticolare, con un ospedale provinciale al centro, tre presidi territoriali di riferimento ad Alatri-Anagni, Sora e Cassino e 7 ospedali di prossimità, ad un sistema a triangolo acuto: Frosinone in alto, con qualche specialità in più degli altri con esiti maggiormente favorevoli per mortalità e morbilità, Sora e Cassino in basso, con poche unità operative, esiti rischiosi e sostanziale predisposizione a trasferire il più in fretta possibile, grazie all’Ares 118, pazienti da ictus, infarti, politraumi e tutti i casi che hanno bisogno di interventi salvavita in tempistiche strettissime, che né Santa Scolastica e neppure Santissima Trinità assicurano. A volte viene bypassato anche lo Spaziani e si vola in eliambulanza a Roma o al Goretti di Latina. Benvenuti nella sanità che questa classe politica ci ha lasciato. Con ospedali racchiusi in mura maestose, con dentro sempre meno camici bianchi: scatole grige come a Sora, rossastre come a Cassino, divorate dalle fiamme del tramonto di uno degli assi portanti dello stato sociale. Perché è qui che passa la vergogna di uno Stato ingrato, dove per il 30% almeno s’è costretti ai viaggi della speranza in altre Asl ed a Roma soprattutto, dove sempre più persone rinunciano a curarsi perché non ci sono liste d’attesa che s’accorcino e assicurino prestazioni fino agli ultimi in fila. Mentre s’ammicca a pagare tutto e di più in fatto di esami clinici. La salute costa. Era un diritto costituzionale. Era.
La medicina territoriale mai decollata e la frontiera dell’emergenza
Intanto i medici di medicina generale nell’attuale organizzazione non filtrano granché, alcuni di loro fanno turni d’ufficio con orari ridotti. La sanità territoriale resta a livello di progettazione, 3-4 anni dopo le promesse roboanti, i selfie a 32 denti, le cifre diffuse a raffica sui giornali, nelle tv e on line, le conferenza stampa sprizzanti soddisfazione. Un esempio: il 6 febbraio 2025 è stato redatto il verbale di verifica del progetto esecutivo per l’intervento di realizzazione della Casa della Comunità di Frosinone. Ci sono poi gli ospedali di comunità, le centrali operative e tutto quel che dovrebbe far da filtro ai nosocomi veri e propri. Arriveranno questi presidi per ridurre l’ospedalizzazione? Funzioneranno davvero? Per il momento, l’unica certezza, è che si può contare solo sulla pima linea: sul fronte dell’emergenza. C’è poi la telemedicina che aiuta: Sora e Cassino afferiscono a Frosinone. Ma non per tutto. Resta la questione vera che tutti i cittadini dovrebbero poter contare sull’equo accesso alle cure. Ma non è così. Provate a partire in situazioni critiche da Santopadre o Viticuso, da San’Andrea del Garigliano o da Picinisco e poi ne riparliamo. Ammesso che si riesca a riparlarne. Il sud-est della provincia ha possibilità di guarigione nettamente inferiore a quelle del nord della provincia. Ma lo stesso comprensorio Frosinone-Alatri-Anagni è sì avvantaggiato dal maggiore quantità di specializzazioni dello Spaziani ma anche dalla vicinanza a Tor Vergata. È questa una soluzione tollerabile? O non si pone con urgenza l’esigenza di potenziare e dotare di servizi con livelli salvavita anche gli ospedali di Sora e di Cassino e di adeguare lo Spaziani ai servizi di un Dea di secondo livello? Domande che richiederebbero impegni immediati più che semplici risposte.
Lo scenario sta cambiando a causa dell’invecchiamento della Ciociaria
Anche se l’ultima moda potrebbe diventare quella di prendere tempo. Ché tanto, qui come in altri settori, l’inverno demografico toglierà tante castagne dal fuoco ai decisori. L’invecchiamento ci salverà, gli errori e le sfortune diventano meno netti ad una certa età. Parrebbe una conclusione funerea se non rispondesse a quel che già si constata. Una provincia per anziani non potrà che ridursi al governo clinico della cronicità. In fin dei conti i posti letto per acuti che avevamo non torneranno e quelli che abbiamo oggi si avvicineranno sempre più ai rapporti con la popolazione residente per forza della denatalità. I giovani rimasti – che già sanno di dover in troppi casi fare le valigie perché di salari decenti non c’è più traccia – ora hanno anche il ricordo di Charles. Un motivo in più per andarsene a vivere altrove. Dove negli ultimi 25 anni, magari, s’è sbagliato meno.