Parkinson, la malattia neurodegenerativa conta oltre 300mila pazienti in Italia: sintomi e diagnosi

L’intervento più efficace oggi disponibile consiste nell’inserimento di pacemaker che stimolino i nuclei del subtalamo

La malattia di Parkinson idiopatica, comunemente chiamata malattia di Parkinson, è stata descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817 nello studio An Assay on the Shaking Palsy. Dopo la malattia di Alzheimer, quella di Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa. Durante il decorso della malattia i sintomi peggiorano, anche se il trattamento con i nuovi farmaci e le terapie non farmacologiche hanno notevolmente migliorato la qualità di vita dei pazienti.

Sintomi e diagnosi

La malattia di Parkinson è una sindrome extrapiramidale caratterizzata da rigidità muscolare che si manifesta con resistenza ai movimenti passivi, tremore che insorge durante lo stato di riposo e può aumentare in caso di stato di ansia e bradicinesia che provoca difficoltà a iniziare e terminare i movimenti. Questi sintomi si risolvono poi in disturbi dell’equilibrio, andatura impacciata e postura curva. Altri sintomi possono essere depressione e lentezza nel parlare. La malattia ha un substrato anatomopatologico di degenerazione neuronale della sostanza nera (Substantia nigra pars compacta, Snpc) con una progressione graduale e un decorso prolungato.

Da un punto di vista biochimico sono state accertate, a livello della Snpc di soggetti parkinsoniani, una riduzione della quantità di dopamina, una minore concentrazione di neuromelanina (quindi una minore pigmentazione della Snpc), una riduzione dell’attività del complesso I della catena respiratoria mitocondriale e una minore attività dell’alfa-chetoglutarato deidrogenasi. Una diagnosi accurata della malattia può essere effettuata solo con l’analisi post mortem di campioni istologici.

Cause

Sebbene l’eziologia della malattia di Parkinson non sia del tutto chiara, è ormai accettata l’ipotesi di un’origine multifattoriale della malattia, in cui interagiscono componenti ambientali e genetiche. Possibili fattori eziologici sono ereditarietà, lesioni cerebrali, infezioni, neurotossine endogene, fattori ambientali e alterate pressioni geniche. Si osserva in particolare che l’insorgenza di gradienti metallici nella Snpc in mancanza di efficienti risposte omeostatiche può risultare citotossica e portare al danno ossidativo.

Fattori ambientali

Alcuni fattori ambientali e occupazionali possono aumentare il rischio di insorgenza della malattia. Tra questi sono compresi l’esposizione a tossine esogene come i pesticidi, i metalli, altri xenobiotici e i prodotti chimici industriali, lo stile di vita (dieta e fumo), il luogo di residenza (ambiente rurale) e l’attività professionale (lavoro agricolo).

L’esposizione a pesticidi, erbicidi, insetticidi e fungicidi si verifica tramite l’assunzione di acqua o cibi contaminati, per contatto cutaneo o per inalazione diretta. L’esposizione cronica a metalli come manganese, rame, ferro, alluminio e piombo aumenta il rischio di sviluppare la malattia, in particolare nei soggetti con storia familiare positiva. Una correlazione positiva tra malattia, residenza e attività professionale è attribuita all’esposizione a particolari composti chimici utilizzati in agricoltura.

Anche le abitudini alimentari possono influire sulla variabilità della malattia di Parkinson. Cibi ricchi di grassi animali, saturi o insaturi, e di vitamina D incidono positivamente sullo sviluppo della malattia, mentre cibi come noci, legumi, patate e caffè sembrerebbero svolgere un ruolo protettivo. Si osserva inoltre un’associazione inversa tra il fumo di sigaretta e l’insorgenza della malattia.

Fattori genetici

Una storia familiare positiva può aumentare il rischio di insorgenza della malattia. Forme ereditarie della malattia sono causate da mutazioni identificate per i seguenti geni: alfa-sinucleina, parkina, dardarina, DJ-1. Circa il 5-10% dei pazienti mostra un modello di ereditarietà autosomico dominante.

Altre possibili concause

Alcuni studi suggeriscono come potenziali concause per lo sviluppo della malattia alcune patologie infettive, come certe forme di encefalite. In altri studi la malattia di Parkinson è stata associata a lesioni cerebrali, in particolare traumi accompagnati da emorragia; tuttavia non è ancora definitivamente accertato che il trauma possa essere considerato un fattore eziologico.

Trattamento

Non si conosce una cura per la malattia di Parkinson; tuttavia esistono diversi trattamenti che possono controllarne i sintomi. Un buon trattamento prevede l’intervento sul paziente di diversi specialisti, tra cui neurologi, infermieri specializzati, fisioterapisti e logopedisti. Ciascun paziente ha una diversa combinazione di sintomi e la terapia farmacologia è calibrata sui bisogni individuali dei malati. Il primo obiettivo del trattamento è ripristinare i livelli di dopamina e ristabilire le normali funzioni dei circuiti cerebrali.

I medicinali possono includere: L-dopa, agonisti della dopamina, anticolinergici, amantadine, selegiline, Comt-inibitori. L’intervento chirurgico può essere preso in considerazione per i pazienti in cui i sintomi della malattia non possono essere adeguatamente controllati con il trattamento farmacologico. L’intervento più efficace oggi disponibile consiste nell’inserimento di pacemaker che stimolino i nuclei del subtalamo.

La ricerca

Le cure oggi disponibili sono di aiuto nel controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo. Gli studi si concentrano sulla ricerca delle cause della malattia, sulla prevenzione, sul miglioramento delle terapie, ma anche sullo sviluppo di tecniche di neurotrapianto di sostanza grigia fetale.

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