Ceccano – Una casa all’asta a Venezia da acquistare ad un buon prezzo per poi rivenderla ad una cifra maggiorata. L’ex sindaco di Ceccano aveva in mente di portare a termine l’affare. Lo si evince da alcune intercettazioni captate dagli investigatori di Squadra Mobile e Servizio Centrale Operativo nel corso della complessa inchiesta “The good lobby” che, all’alba del 24 ottobre, ha portato alla luce il “sistema Ceccano”.
Durante una conversazione, l’architetto Elena Papetti parla con Roberto Caligiore di una casa che vorrebbe comprare. Una casa che, a detta del Carabiniere sospeso dall’Arma dopo l’arresto, costerebbe un po’ troppo. Però, lo stesso afferma “se riuscissimo a fare quattro/cinque appalti fatti bene…”. Una frase che per gli inquirenti lascia chiaramente intendere come lo stesso traesse illecito profitto dagli appalti comunali. Le parole proferite dall’ex primo cittadino ceccanese, in merito all’immobile desiderato dalla Papetti ed acquistabile con i proventi di appalti “fatti bene”, hanno anticipato altri e più dettagliati riferimenti al sistema “tangentista”. È a quel punto, infatti, che parla dell’acquisto della casa a Venezia. Un affare da 60/70.000 euro “però poi quella vale 3/400.000 euro”, le rivela.
L’ossessione di Caligiore
Monetizzare. Per gli inquirenti era questa l’ossessione di Caligiore. L’interesse costante a fatturare, per l’accusa, viene fuori anche da altre conversazioni intrattenute sempre con la Papetti. È il maggio del 2023 e mentre i due erano a bordo della Smart dell’ex sindaco, questi le chiede delucidazioni in merito ai tempi necessari all’emissione di fatture da parte delle ditte aggiudicatrici dei lavori finanziati con i fondi del P.N.R.R riguardanti il centro storico e il Castello dei Conti. L’architetto Papetti riferisce a quel punto degli accordi presi con le ditte appaltatrici e delle relative percentuali da anticipare a favore delle stesse. L’attenzione di Caligiore per gli inquirenti pare focalizzarsi esclusivamente sul tema dell’emissione di fatture in tempi brevissimi da parte delle imprese che si erano aggiudicate gli appalti, per la successiva liquidazione delle stesse da parte del Comune di Ceccano. Quelle fatture, nella maggior parte dei casi, sono riconducibili alle società di un altro degli arrestati, Danilo Rinaldi. In totale, tra il 2021 e il 2023, le società in questione avrebbero effettuato lavori e rimesso fatture al Comune di Ceccano per complessivi €
1.862.617,53.
Quel sistema “appalti-tangenti”, ricostruito nell’indagine coordinata dalla Procura europea, per l’accusa, rappresenta il diffuso malaffare caratterizzante l’operato dei rappresentanti tecnico-politici dell’amministrazione comunale ceccanese, con particolare riferimento agli affidamenti dei lavori pubblici. Uno dei professionisti indagati, lamentandosi con alcuni dipendenti comunali, nel proprio ufficio, si sarebbe anche lasciato sfuggire di essere stato “costretto a firmare delle cose strane”.
Il circuito “fatture-tangenti”, utilizzato per la spartizione di “mazzette” provenienti dalle aziende che si erano aggiudicate gli appalti presso il Comune di Ceccano, è stato ampiamente dettagliato dagli investigatori. Il denaro contante recuperato nell’ufficio dell’ex sindaco ed a casa di Anniballi, durante le perquisizioni immediatamente successive agli arresti, sarebbe per l’accusa un’ulteriore prova della quantità di soldi movimentata dall’associazione a delinquere.
Le indagini vanno avanti. Le difese studiano le strategie da adottare. La magistratura dovrà vagliare le posizioni di tutti i 36 indagati ma intanto l’inchiesta “The good lobby” continua a far presagire risvolti e sviluppi che non si arresteranno a breve. E, forse, neppure alla sola Ceccano.