Ventidue in cinque mesi. Quattro da inizio ottobre, in sole due settimane. Sono i numeri di una strage silenziosa, o sarebbe meglio dire sottaciuta, che da maggio 2024 interessa la provincia di Frosinone. Un ex sindaco, undici giovani tra i 16 ed i 42 anni, anziani, figli, fratelli, genitori, fratelli, sorelle, amici. Ventidue bare chiuse nel silenzio assordante di politica ed istituzioni che da mesi sollecitiamo ad intervenire raccontando, giorno dopo giorno, di una nuova vittima. Di un ragazzo che si getta da un balcone, di un altro che sceglie di impiccarsi, di un altro ancora che si uccide con un arma da fuoco, di chi invece si dà fuoco, si butta in un fiume, in un pozzo. E poi ci sono i quasi 30 tentati suicidi che non si sono trasformati in morte solo per una serie di circostanze “fortunate”.
La politica ha fallito: intervenga il ministro della salute
La politica ha fallito. Il sistema assistenziale anche. Quello socio sanitario idem. Lo ripetiamo da mesi, senza che nessuno si faccia carico di un’emergenza sociale e sanitaria che in questo territorio non ha mai registrato così tante vittime. Nessun sindaco, neppure quelli dei comuni che hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite spezzate, si è fatto avanti per chiamare a raccolta i colleghi degli altri comuni. Nessun commento, mai neppure una parola rivolta a quelle famiglie che, da maggio ad oggi, sono diventate ventidue.
Salendo ai piani superiori, il silenzio è ancor più assordante. Tace la consigliera regionale e presidente della Commissione regionale sanità, Alessia Savo, che questo territorio dovrebbe conoscerlo bene. Tace il presidente della Regione Francesco Rocca, troppo impegnato ad arginare gli isterismi della sua maggioranza che per difendere poltrone, cariche e deleghe finge di ignorare una provincia segnata da una piaga che nessuno sembra interessato a voler curare.
Ma chi risponderà di tutto questo? Prima o poi qualcuno, dal basso all’alto della “piramide governativa” si prenderà delle responsabilità? Il peso di quei ventidue morti graverà sulla coscienza chi chi ha fatto finta di non voler guardare e sentire?
Dopo le decine di sollecitazioni finite nel vuoto, facciamo appello al ministro della salute Orazio Schillaci. Lo facciamo a nome delle centinaia di persone che in questi mesi ci hanno chiesto di andar avanti in questa battaglia, di non tacere, di non fermarci. Perché il suicidio in questa terra non è più un tabù per nessuno, se non per i politici che si chiudono nei palazzi anche quando a morire è un collega, che per anni ha partecipato ai loro tavoli, alle loro riunioni, alle loro campagne elettorali.
Intervenga, ministro Schillaci: chieda un dossier immediato che faccia luce su queste morti che registrano un tasso molto più elevato di quello registrato in province più grandi. Un trend spaventoso con il 2024 che non è ancora finito e segna già il record più buio della storia.
Chieda conto alla schiera dei “Fratelli d’Italia” che oggi governano questa Regione perché i suicidi della Ciociaria siano stati così a lungo ignorati e non abbiano acceso un campanello d’allarme in nessuno di loro. Eppure i segnali c’erano e ci sono. Eppure un ragazzo poco più che ventenne aveva annunciato sui social che avrebbe raggiunto la sua amata che, a soli 16 anni, si era tolta la vita pochi giorni prima di lui. Ma nessuno lo ha ascoltato.
I morti scomodi ai quali nessuno vuole guardare e la salute mentale dimenticata
Dov’è la rete sociale? Quali sono le condizioni dei Centri di Salute Mentale di questa provincia? Come si opera nell’ultimo reparto di Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura rimasto? Cosa si fa per aiutare i pazienti fragili?
Le diamo qualche risposta, certi che i suoi fedelissimi potranno essere ancor più precisi: i Csm della provincia di Frosinone sono al collasso, con centinaia di richieste da parte di pazienti sempre più giovani che, quando trovano la forza di chiedere aiuto, vengono presi in carico solo sulla carta. Perché non ci sono risorse, economiche e in termini di personale. Non ci sono psichiatri o psicologi – seppur si sbandierano nuove assunzioni – che abbiano tempo di ascoltarli davvero, di iniziare un percorso di diagnosi e cura che non sia il canonico protocollo: bombardamento da farmaci.
E questo accade anche nel reparto di Spdc di Cassino. Quel reparto che dovrebbe essere l’ultima spiaggia, in questa provincia dove la prevenzione e la salute mentale sono dimenticati peggio che nel paese più arretrato del mondo, diventa il primo approdo. Per giovani smarriti alle prese con ansia, depressione, dipendenze, disturbi post traumatici da stress. Per tutti il destino è lo stesso. Una bella dose di psicofarmaci e via a casa in pochi giorni per liberare posti letto. Una volta tornati tra le mura domestiche l’incubo non è finito: è appena iniziato. Le famiglie sono sole, alle prese con disturbi dei quali non conoscono nemmeno la definizione clinica perché nessuno ha parlato con loro prima di rimandare a casa i loro cari. Se un paziente è maggiorenne ci si smarca dicendo che non si possono dare informazioni perché lui/lei – capace di intendere e di volere – è stato edotto/a sulla sua condizione. E qui viene meno la rete sociale, quella familiare, quella scolastica. Se un giovane, appena maggiorenne, sta lottando contro un disturbo mentale, signor ministro, pensa che sarà in grado di riferire ai suoi genitori cosa gli è stato “spiegato” durante i colloqui intercorsi in quei sette, dieci giorni di ricovero in un reparto di Spdc magari mentre era sotto l’effetto di psicofarmaci?
La gran parte delle famiglie non ha mezzi, economici e di conoscenza, per fronteggiare un disturbo mentale. E così iniziano i calvari, i ricoveri, dentro e fuori dal reparto, i periodi sì e le ricadute. La dipendenza da quei farmaci che in molti casi non andavano neppure somministrati perché se in questa provincia ci fossero le risorse per fare prevenzione non si arriverebbe a casi limite. A tentare il suicidio o, peggio, a compierlo.
Serve una task force e, soprattutto, servono investimenti
Cosa si è fatto in questi mesi? Nulla, lo dicono le ventidue vite spezzate da un male di vivere che nessuno è stato in grado di prevenire prima e di curare poi. E non è colpa delle famiglie, seppur sono loro a dover fare i conti con il fine pena mai. Occorrerebbe mappare tutti i casi da attenzionare in questa provincia e predisporre una “task force” che intervenga prima che sia troppo tardi, caso per caso, casa per casa, famiglia per famiglia. Ma per farlo, lo ripetiamo da mesi, dati alla mano, servono fondi immediati e non tavoli, audizioni e lungaggini.
Secondo l’Istituto Superiore della Sanità – il ministro lo saprà bene – nel Lazio sono 1,5 milioni le persone che soffrono di disturbi mentali (27,1% della popolazione) e fra questi, il disturbo depressivo maggiore rappresenta una delle principali problematiche, con 20mila nuove diagnosi rilevate solo nel 2021 dall’ISTAT. Parliamo di una delle principali cause di suicidio. Nonostante l’attuale situazione di emergenza e i dati allarmanti, il nostro Paese si posiziona agli ultimi posti in Europa per risorse economiche allocate per la salute mentale. Su scala regionale, la Regione Lazio si posiziona al di sotto della media italiana.
La fotografia impietosa di quello che sta accadendo da mesi in questa provincia non è tutta qui. Ma ventidue persone che hanno scelto il suicidio come unica via d’uscita dal loro dolore possono essere abbastanza, signor ministro, perché qualcuno decida di intervenire?